Alessia Pifferi, indagate altre due psicologhe: ecco come hanno manipolato i test per farle ottenere la perizia psichiatrica

La mamma che nel luglio 2022 lasciò morire di stenti la figlia Diana rischia l'ergastolo. Il filone bis ha 5 indagati per falso e favoreggiamento

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di Redazione web

Si allarga il fronte dell'inchiesta bis sul caso Alessia Pifferi, la mamma che nel luglio 2022 lasciò morire di stenti la figlia Diana nel suo appartamento a Ponte Lambro, Milano. Mentre il processo contro Pifferi, che rischia l'ergastolo, volge al termine, il filone parallelo che vede accusate le sue psicologhe per falso e favoreggiamento ha due nuove indagate, altre due professioniste che lavorano nel carcere di San Vittore.

Gli avvisi di garanzia alle due donne sono arrivati tra il pomeriggio e la sera di lunedì 25 marzo, l'interrogatorio del pm di Milano Francesco De Tommasi è fissato per il 4 aprile. Una alterna il lavoro all’Asst Santi Paolo e Carlo alle ore di servizio nella casa circondariale, l'altra è esterna al carcere ma lavora per la stessa azienda sanitaria della collega. Gli indagati, in totale sono 5: oltre alle 4 psicologhe che avrebbero manipolato Alessia Pifferi per farle ottenera la perizia psichiatrica, c'è anche Alessia Pontenani, la sua avvocata.

Viene contestato alle due psicologhe di aver messo in atto "un'attività di consulenza difensiva", non rientrante nelle loro competenze e "volta esclusivamente a creare, mediante false attestazioni", le condizioni per tentare di giustificare la somministrazione del test psicodiagnostico e fornire alla Pifferi una base documentale che le permettesse di richiedere e ottenere in giudizio, eventualmente con il filtro di un'ulteriore consulenza di parte, la tanto agognata perizia psichiatrica" sulla sua imputabilità. 

Come le psicologhe hanno manipolato il test di Wais

La psicologa che lavora tra l'Asst Santi Paolo e Carlo e San Vittore avrebbe predisposto "i relativi protocolli con i 'punteggi già inseriti'" nella somministrazione del "test di Wais" che servì, secondo l'accusa, per segnalare un grave deficit cognitivo della 38enne e per farle ottenere la perizia psichiatrica. Perizia che, poi, nel processo in corso ha stabilito che l'imputata, quando lasciò morire di fame e di sete la figlia Diana di quasi un anno e mezzo, era capace di intendere e volere.

 

La psicologa avrebbe preso parte a quel test, che per il pm e i suoi consulenti non poteva essere effettuato e non aveva valenza scientifica (stesse considerazioni del perito nel processo).

E avrebbe redatto, assieme all'altra (non presente al test), la "relazione del 3 maggio 2023". Relazione, però, "materialmente" firmata, poi, da un'altra delle due professioniste già indagate, come emerso nei mesi scorsi. Una relazione che, tra l'altro, sarebbe stata anche modificata e revisionata rispetto alla "versione originaria", pure "'cambiando' alcuni grafici".

La relazione sul test di Wais, si legge ancora negli atti, è stata firmata anche dall'altra psicologa già indagata da tempo, la quale, però, "era assente anche in occasione della somministrazione del test". L'altra collega, poi, "senza aver partecipato alla materiale somministrazione" e basandosi "anche su quanto riferitole verbalmente" dall'altra, scrive il pm, "in ordine ai contenuti dei colloqui intrattenuti" con Pifferi "contribuiva a redigere la relazione del 3.5.2023, pure modificando e revisionando la versione originaria nonché 'cambiando' alcuni grafici".

I gravi deficit inesistenti

Le quattro psicologhe e l'avvocatessa avrebbero così attestato che Pifferi "aveva un quoziente intellettivo pari a 40 e quindi un 'deficit grave, al limite inferiore di questo livello (pertanto tra grave e gravissimo)'". Gli esiti del test, scrive il pm, "erano incompatibili con le caratteristiche psichiche effettive della detenuta, per come emergenti anche dagli stessi colloqui intercorsi in carcere", colloqui "anch'essi falsamente annotati nel diario clinico, con riferimento ai presupposti del 'monitoraggio' a cui la Pifferi veniva sottoposta, in realtà inesistenti giacché la donna non era un soggetto a rischio di atti anticonservativi".

Due delle psicologhe, in particolare, avrebbero portato avanti una "vera e propria attività di consulenza difensiva", mentre l'imputata era "lucida" e "determinata". E hanno lavorato per fornire "una base documentale che le permettesse di richiedere e ottenere in giudizio, eventualmente con il filtro di un'ulteriore consulenza di parte, la tanto agognata perizia psichiatrica". 


Ultimo aggiornamento: Martedì 26 Marzo 2024, 14:15
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