Alessandro Di Carlo, lo show a Ostia Antica: «In scena sarò un matto vero ma sono lo specchio di tutti voi»

L'artista romano racconta le sue origini: "Mia madre, siciliana, era compagna di giochi della madre di Fiorello". E della sua comicità dice: "Politically correct? Un artista per natura non può esserlo"

Alessandro Di Carlo, lo show a Ostia Antica: «In scena sarò un matto vero ma sono lo specchio di tutti voi»

di Totò Rizzo

Alessandro Di Carlo è “Matto vero”: così almeno recita il titolo del suo spettacolo (venerdì 28 luglio al teatro romano di Ostia Antica). «D’altronde, oggi, chi non è matto? Non è da matti la psicosi collettiva in cui quotidianamente viviamo? Matto vero è anche il pubblico che si rispecchia in me dalla platea».

Dunque un mondo di matti, Di Carlo: c’è di che preoccuparsi.

«Non più di tanto. Alla fine, per la maggior parte siamo matti “buoni” che abbaiano alla luna».

Lei non le manda a dire, in scena. È poco politically correct.

«Non lo sono stato prima, non lo sono oggi, non lo sarò domani. Ma poi chiedo: può un comico essere politically correct? Siamo il Paese di Petrolini, Totò, Sordi, Proietti, Villaggio, abbiamo esportato in Francia la commedia per via della Controriforma. L’artista è un libero pensatore, come puoi imbrigliarlo? Sarebbe come legare i piedi al numero 10 su un campo di calcio, come fare la pasta all’uovo senza uova. Sul rogo non ci vai più ma non ti fanno lavorare».

Ci sarà pure un limite, un confine.

«L’unico che conosco è la bestemmia. E poi io non addito nessuno, non incolpo nessuno, non condanno nessuno. Parlo della mia vita, gioco con me stesso, col mio quotidiano: se qualcuno ci si rispecchia... Non voglio essere Zelensky né Grillo. Sono Rugantino, Meo Patacca».

Lei ha cominciato quando la tv degli anni ’80-90 lanciava nuovi comici. Oggi i talent lanciano solo cantanti.   

«Era un altro mondo, un’altra televisione. Io mi sono trovato a lavorare a fianco di Proietti, Montesano, Bisio. Oggi si ha paura della battuta estemporanea. Una volta se qualcosa non convinceva si ricorreva al famoso “questa si taglia”. Adesso la censura è preventiva, si azzoppa direttamente l’idea. Non si fa più scouting sulla comicità e gli spazi via via si sono esauriti. Si preferiscono le fiction. Meno rogne».

Romano orgoglioso d’esserlo.

«Sì, anche se rivendico radici meridionali. Papà Pasquale napoletano, poliziotto, e mamma Clara, casalinga, siciliana di Augusta, lo stesso paese di Fiorello.

Pensi, era compagna di giochi di Sarina, la mamma di Rosario e Beppe, era la più piccola di quel gruppo di amichette».

Quando s’è accorto di far ridere?

«Veramente, prima mi sono accorto di far piangere. Alle elementari le maestre mi facevano sempre fare, nelle recite scolastiche, personaggi morti ammazzati, da Giulio Cesare a Gandhi. Però mi è servita al cinema questa vocazione per il dramma, dal “Grande botto” di Pompucci a “Baarìa” di Tornatore. Insomma, la corda c’è, basta pizzicarla. D’altronde, come diceva Chaplin, “il comico non è che il tragico visto di spalle”».

Il primo ingaggio?

«1988, in un locale che la mattina faceva da bar, a mezzogiorno da trattoria, al pomeriggio da caffetteria-gelateria, la sera da pizzeria, di notte da night. Gestore un personaggio di una Roma che non c’è più, tra Sordi e Fabrizi, “vittima di errori giudiziari” diceva di sé stesso. Non era un vero e proprio spettacolo, il mio, una mezzoretta di intrattenimento mentre i camerieri portavano ai tavoli pizze e supplì. Prima paga: una margherita e una birra. La settimana dopo, pizza, birra e 50 mila lire. Non mi ha mai detto “bene” o “bravo”. Mi telefonava: “’A pische’, stasera fatte vede’”. Un giorno mi presentai e mi accolse un’avvenente signora: “Il proprietario non arriva perché intrattenuto da impegni improrogabili. Torna tra qualche mese”. Era di nuovo finito “vittima di errori giudiziari”».

Difficile far ridere, oggi?

«La tecnica dopo 30 anni di mestiere è affinata. Certo, bisogna “annusare” il pubblico sera per sera. Molto più difficile comunque far ridere 20 persone in un cabaret che duemila in un teatro».

Dovesse convincere la gente a vedere “Matto vero”?

«Un’oasi di risate. Di questi tempi, vi sembra poco? E in scena c’è anche una strepitosa band con la quale ci divertiamo a cantare come matti, per l’appunto».


Ultimo aggiornamento: Mercoledì 26 Luglio 2023, 09:08
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