Michele Zarrillo, domani una “festa” al teatro romano di Ostia Antica. «Per celebrare sul palco due dischi d'oro inaspettati»

Il cantautore romano uscirà nel 2024 con un nuovo disco. "Mi sono affidato anche ad altri autori, stavolta, giovani e promettenti, bisogna accordare fiducia ai nuovi talenti"

Michele Zarrillo, domani una “festa” al teatro romano di Ostia Antica. «Per celebrare sul palco due dischi d'oro inaspettati»

di Totò Rizzo

Due dischi d’oro senza cantare una nota nuova. «Il primo è arrivato l’anno scorso per “Amore vuole amore”, un album del 1997, grazie ad acquisti e ascolti in digitale negli ultimi anni, il secondo adesso per “Cinque giorni” scaricatissima dopo che l’ho eseguita in duo con il giovane Will nella serata delle cover a Sanremo». Ci ride su, Michele Zarrillo, la prende come prende la vita, «un po’ come viene, come diciamo a Roma».

Dunque, domani, 26 luglio si festeggia al teatro romano di Ostia Antica.

«È la parola giusta, sarà una festa, con amici a sorpresa sul palco e con gli amici di sempre, i miei fans».

Sui social la coverizzano anche i ragazzi.

«Su TikTok quasi fossi un rapper. Parliamo di giovani che solitamente ascoltano altro».

L’adolescente di Centocelle s’era già prefisso di fare il cantante?

«Un’evoluzione naturale, studiavo chitarra, facevo i concorsi di voci nuove negli oratori, da lì a salire sul palco con la band e a girare per i quartieri di Roma fu quasi un lampo, facevamo progressive».

Appunto, i riferimenti musicali di Zarrillo.

«Il “prog” anni ’70 ricco di armonie: Genesis, Yes, King Crimson, pieno di contaminazioni. E poi la black, il soul, Stewie Wonder in testa. Il mio pop nasce da tutto questo».

Pop di successo anche se mai inseguito, il successo.

«Ho alternato vari momenti: quelli in cui facevo 250 concerti l’anno e quelli in cui mi prendevo due, tre anni di pausa. Tutto con grande serenità, un po’ come viene. Mai sentirsi troppo sicuri del consenso».

Nemmeno alla sua età e dopo tanti decenni di carriera alle spalle?

«Io alla mia età e con gli anni di mestiere che ho sul groppone mi sento ancora un outsider. Certo, so di avere un bel repertorio, una buona esperienza acquisita sul campo ma in ogni lavoro bisogna sempre sperimentarsi, giorno dopo giorno». 

C’è chi dice arricciando il naso: Zarrillo il sanremista.

«Ne ho fatti 13, di festival. Se su 13 fossero rimaste solo un paio di canzoni, allora sarebbe flop. Ma su 13 almeno 9 o 10 devo cantarle per forza in concerto altrimenti non mi lasciano andar via».

Come si spiega l’identificazione collettiva con una canzone come “Cinque giorni”?

«I miei produttori in un primo momento la nascosero a Baudo, temevano quasi che gliela volessi fare ascoltare io da solo così andarono da Pippo e spinsero altri brani, tra i quali uno che si intitolava "Il sopravvento".

Sembrava fatta. Ma Baudo non era convinto. "Non avete dell'altro?", gli chiedeva. "Impossibile che Michele non abbia un pezzo più forte nel cassetto". I miei discografici pensavano che "Cinque giorni" fosse una “zarrillata”, un pezzo troppo melodico, da 2 in pagella dai giornalisti che calano al festival da tutta Italia. Ma Pippo si impuntò e volle sentirla: “ Voi siete pazzi, all’Ariston viene questa canzone, cambierà la carriera di Michele”. E fu buon profeta. Poi la gente quella canzone l’ha adottata».

I figli seguiranno le orme del padre?

«La maggiore, Valentina (42 anni, ndr.), ha scelto altro da tempo, I più piccoli promettono bene: Luca ha 13 anni ed è al quinto di pianoforte in Conservatorio, Alice, che ne ha 11, sta studiando chitarra classica. Dei due genitori, io sono quello meno esigente, forse perché ho un concetto più empirico della musica. La madre (Anna Rita Cuparo, violoncellista, ndr) è quella più severa, per la sua formazione accademica. E comunque, sono musicalmente onnivori, curiosano su Spotify e Youtube, ascoltano di tutto. La loro generazione ha una marcia in più rispetto alla nostra».

Nel 2024 esce il nuovo disco.

«Mi piace molto. Ci sono già 9/10 tracce che mi convincono parecchio. E almeno quattro brani tra questi sono scritti da altri, autori giovani, promettenti. Bisogna fargli spazio, ai nuovin talenti, accordargli fiducia».

Un'ultima domanda di... stagione: mai tentato da un tormentone estivo?

«Un tempo, di tormentoni estivi ce n'era uno, massimo due, ogni anno. Adesso s'è perso il conto, sono otto, nove, dieci ogni estate. L'estate un eterno sollazzo, un perpetuo far casino, co' 'sto caldo poi... Sembra che il tormentone sia un compito istituzionale di produttori, autori e interpreti. Basta, per carità. Più che un tormentoni ormai sono diventati un tormento». 


Ultimo aggiornamento: Martedì 25 Luglio 2023, 08:48
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