Javier Bardem tuttofare, tra Tritone e Dune: «Rifarei tutto, anche i film più brutti»

Javier Bardem tuttofare, tra Tritone e Dune: «Rifarei tutto, anche i film più brutti»

di Alessanda De Tommasi

Sarà Tritone, re dei mari (nel live-action de “La sirenetta” girato in Italia), parlerà con i rettili (nel musical “Lyle, Lyle, Crocodile”) e diventerà un mostro (“Bride of Frankenstein”): Javier Bardem ha davanti a sé una stagione intensa, prima di tornare nel secondo capitolo del blockbuster “Dune”. Intanto il 53enne (primo Premio Oscar spagnolo della storia) al Festival di Cannes ha ripercorso la sua carriera con grande autoironia.


Come ha iniziato?
«Per caso, accompagnando mia sorella a un provino. Mi fecero togliere la maglietta e mi diedero subito la parte. Ho pensato: “Caspita, allora è questo che fa un attore? Basta così poco?”. E allora mi sono buttato, ma a un certo punto ho smesso di voler essere considerato solo un pezzo di carne».
A chi deve il ringraziamento più grande?
«A Pedro Almodovar che mi ha scelto per “Tacchi a spillo”. Per me è l’uomo più buffo del mondo, capace di cambiare il cinema di un Paese intero, uno che si butta nelle cause sociali, ha talento e gli sono molto affezionato. A casa mia è di famiglia perché mia moglie Penelope (Cruz, ndr) lo adora».
Ha dei rimpianti?
«Nessuno, neppure quando ho fatto film brutti (e ne ho fatti) o la critica mi ha massacrato, come nel caso di “Il tuo ultimo sguardo” di Sean Penn. In sala ci hanno fischiato, è stato un gigantesco disastro, ma durante le riprese pensavamo che sarebbe diventato tutt’altro. La prima sembrava un funerale perché sulla Croisette erano già usciti articoli molto negativi. L’unica persona a cui è piaciuto è stata mia mamma».
Ha mai pensato alla regia?
«Mai: è troppo difficile mettere insieme tutto. Un giorno Al Pacino mi disse che a New York ha assistito a un incidente per strada, si è immedesimato al punto da star male e sentire il dolore della gente coinvolta. Ha guardato la scena dall’interno, non dall’esterno, come avrebbe fatto un filmmaker. In quel momento ha capito che il suo posto era davanti alla macchina da presa e non dietro. E per me è lo stesso».
Ora tornerà nel secondo capitolo di “Dune”. Cosa la colpisce di questa saga?
«È una sorta di metafora sull’ambiente e insegna a prendersi cura della natura per evitare un disastro. Tornare sul set è un onore».
Sulla Croisette ha indossato una maglietta dell’Ucraina. Quanto è importante per lei l’impegno sociale?
«Sento la responsabilità dei messaggi che lancio e per me è motivo d’orgoglio, non certo un peso».


Ultimo aggiornamento: Mercoledì 8 Giugno 2022, 17:13
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