Coronavirus, infermiere dall'ospedale di Codogno: «Non è vero che è tutto sotto controllo, qui è il panico assoluto»

Coronavirus, infermiere dall'ospedale di Codogno: «Non è vero che è tutto sotto controllo, qui è il panico assoluto»
Coronavirus, lo sfogo di un'infermiere dell'ospedale di Codogno: «Tutto ciò che dicono non è vero, non c'è niente sotto controllo», lo dice raggiunto telefonicamente dall'Ansa. «È il panico assoluto, l'ospedale è chiuso al pubblico e i parenti dei degenti continuano a chiamare preoccupatissimi per i loro familiari ricoverati, che oggi sono stati sottoposti al tampone». «La mia impressione è che prima hanno lasciato scappare i buoi e poi - riflette l'operatore sanitario - hanno chiuso la stalla»

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Al pronto soccorso di Codogno era stato visitato il paziente 1, il 38enne poi risultato positivo al coronavirus: «so che è stato fatto il terzo grado a chi lo ha visitato, per capire perché sia stato lasciato tornare a casa, ma lui in quel momento - racconta - sembrava tranquillo, forse non pensava che a Codogno potesse arrivare una cosa del genere, comunque so che non aveva dato indicazioni particolari, a parte un viaggio a New York fatto a dicembre. Anche la famosa cena con l'amico rientrato dalla Cina è venuta fuori solo dopo. Comunque abbiamo capito che i contagi sono avvenuti al pronto soccorso».

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Da quando si è saputo che l'uomo era positivo al coronavirus l'ospedale di Codogno è stato chiuso al pubblico, parenti degli ammalati compresi, e chi ci lavora non riposa da giorni. «Siamo sempre qui, cambi non ce ne sono e anche molti colleghi - dice l'infermiere - sono in panico assoluto: c'è chi si è messo in malattia perché ha figli piccoli e ha deciso di restare a casa, mentre altri sono in quarantena. Io sono qui perché qualcuno ci deve pur stare, se scegli di fare questo lavoro è perché ci credi e ci tieni a farlo al meglio. E ci sono anche colleghi che hanno deciso di restare qui fino alla fine dell'emergenza».

A tutto sovraintende il direttore sanitario: «si è raccomandato di tenere sempre la mascherina e di usare i guanti e di cambiarli per ogni paziente. Ormai - trova la forza di scherzare - abbiamo le mani lise a furia di lavarcele». Ai degenti del reparto «dove è stato ricoverato per 24 ore il paziente 1, questa mattina è stato fatto il tampone, ma non abbiamo ancora i risultati perché il Sacco è imballatissimo e le risposte arrivano a piccole rate». «La situazione non è così sotto controllo come dicono, credo che il problema principale - considera - sia la gestione dell'emergenza: siamo pochi e, al di là della nostra paura, vorremmo avere riguardo per i parenti dei degenti, che sono preoccupati per i loro cari».

CONTAGIATI FRA MEDICI: RISCHI CARENZE IN CORSIA

I medici in prima linea per fare fronte all'emergenza coronavirus sono anche tra i soggetti più colpiti in questi giorni di impennata di casi: «Vari dottori e sanitari si sono contagiati e questo rende prioritario che tutti gli ospedali siano forniti dei dispositivi di protezione personale, mentre non è così», afferma il presidente della Federazione nazionale degli ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri (Fnomceo), Filippo Anelli. Che avverte: «Non proteggere i medici significa rischiare carenze di assistenza negli ospedali proprio nel momento in cui serve evitare che l'attuale emergenza si trasformi in epidemia». «È d'obbligo che medici e personale sanitario utilizzino i dispositivi di protezione personale, dalle maschere ai guanti alle tute, per far fronte all'emergenza, ma ci sono ancora varie segnalazioni che tali dispositivi non siano presenti a sufficienza in ospedali, al 118, tra i medici di famiglia e nelle strutture sanitarie. È una situazione - è l'allerta di Anelli - molto preoccupante sotto questo aspetto».

Ma il punto, spiega, non è solo garantire la sicurezza dei medici, ma anche assicurare l'assistenza negli ospedali e sul territorio. Infatti, «ogni medico che diventa un 'contatto' di un paziente contagiato deve essere sottoposto alla quarantena di 14 giorni, se considerato a rischio, e questo determina la possibilità concreta che si possa creare una carenza di medici e infermieri in un momento cruciale. Diventa quindi indispensabile in questo momento attrezzare tutto il personale sanitario con adeguati e completi dispositivi di protezione, che vanno distribuiti subito laddove mancanti». Vista la situazione, infatti, «anche i casi di apparente semplice influenza vanno trattati come potenziali casi di coronavirus fino a prova contraria, e quindi con le dovute protezioni».

Insomma, sottolinea Anelli, «siamo in una situazione che potrebbe diventare epidemica e non ci possiamo permettere che vengano meno medici, infermieri e personale sanitario. In uno scenario estremo, che al momento fortunatamente non c'è, se ci fossero larghi contagi tra i sanitari gli ospedali dovrebbero chiudere». Al momento, rileva il presidente Fnomceo, complessa è pure la questione delle sostituzioni dei medici impegnati negli ospedali delle zone colpite: «La situazione - afferma - è in divenire». La priorità è comunque garantire che tutti i camici bianchi restino disponibili per l'emergenza. Per questo, annuncia Anelli, «se sarà necessario, sospenderemo incontri, convegni ed attività varie perchè tutti i medici possano dedicarsi totalmente all'assistenza».
Ultimo aggiornamento: Domenica 23 Febbraio 2020, 21:54
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