Il direttore di Rai1 Coletta: «Qualità e leggerezza, ecco la formula vincente»

Il direttore di Rai1 Coletta: «Qualità e leggerezza, ecco la formula vincente»

di Rita Vecchio

Divertissement e intelletto insieme a una sana ironia. Nominato lo scorso dicembre direttore dell’Intrattenimento Prime time e, da due, di Rai1, Stefano Coletta ha sicuramente il merito di una rete ammiraglia contemporanea. Specchio è il Festival di Sanremo appena concluso. Con numeri, storici (diciamolo pure) che viaggiano tra share che, per ritrovarli simili, si deve andare a scavare negli archivi degli anni 90. Per fare due conti, la kermesse ha registrato il 65% con 13 milioni 380 mila spettatori. Numeri incredibili, che si aprono al ventaglio più colorato di giovani e giovanissimi, con le piattaforme social e RaiPlay digital che li seguono a ruota. Se a questo si aggiunge, che era il terzo di fila firmato Coletta-Amadeus, le cifre acquistano ancora di più rilevanza.
Partiamo da lei, direttore Coletta: che significa essere a capo dell’Intrattenimento Prime Time?
«Significa indovinare il mood del paese. Significa illuminare i canali a partire dal Day Time per travasare pubblico alla sera. Significa avere lungimiranza. Ho imparato che creare una scaletta di intrattenimento, con dosaggio di alchimia tra storytelling e show, è più complicato di fare quella di un talk. Alle spalle ho una gavetta infinita e una sana e giusta ambizione. Certo, non avevo mai pensato di diventare direttore, ma ho sempre voluto percorrere la strada creativa. Quando Mario Orfeo mi chiamò alla direzione di Rai3, è stato il momento più bello della carriera, in cui ho avuto il riconoscimento per un lavoro svolto in tutti i ruoli possibili, anche da precario, nell’ambito del prodotto televisivo».
Prima a Rai3 e ora a Rai1: denominatore comune?
«Ho cercato di portare un codice di maggiore contemporaneità, che potesse parlare a target tradizionalmente inconsueti per la tv. La qualità paga e, ieri come oggi, è il fil rouge del mio operato. A Rai1 ho dovuto fare i conti con la pandemia arrivata a pochi giorni dalla mia nomina. È stato chiaramente più un lavoro manageriale che creativo».
È più difficile far sorridere di quanto sia raccontare la realtà in tono serio.
«Sono stato capo autoriale di tanti programmi di prima e seconda serata, anche di intrattenimento. Per un direttore editoriale, come per un attore, è più complesso tracciare una strada di leggerezza più che usare toni drammatici. L’ultimo Sanremo, grazie alla direzione artistica di Amadeus, aveva il condensato di tutto questo».
In un periodo difficile però si vince con la creatività.
«Ha ragione. È la creatività che ci ha permesso di fare programmi e titoli nuovi sia nel day time che in prima serata. Una sorta di story-telling dentro marchi originali, come “The Voice senior” che mette insieme il racconto esistenziale di vite mature e di talenti mai espressi o “Oggi è un altro giorno” che giustappone intelligenza e allegria».

È vero che potrebbe partecipare come concorrente a un quiz su Sanremo?

«Sì. L’ho sempre seguito. Sono un appassionato, è la storia della canzone, del costume e anche della tv. Dirigerlo è stato realizzare il sogno della mia vita. Ad Amadeus, prima di questo terzo mandato, avevo solo detto che mi sarebbe piaciuto avere artisti che avevano fatto la nostra storia musicale, insieme a nuovi talenti. Volevo un bilanciamento tra memoria e presente. E Amadeus l’ha fatto in maniera perfetta. Fare il direttore significa comunque non sostituirsi alla libertà autoriale o ai desiderata dei conduttori».

Non c’è show senza empatia, senza comicità, senza un caleidoscopio di personaggi messi insieme. Ma perché in Rai bisogna aspettare l’evento Sanremo per avere tutto questo?

«È un ragionamento serio e profondo. Diciamo che tutto dovrebbe diventare evento, a partire dalla promozione. E importante sarebbe farlo con una radice di libertà. Con la tv è doveroso parlare a tutti. Anche con generi mai trattati in tv, come in seconda serata a Rai3 quando ho voluto le lezioni di psicoanalisi di Recalcati.

Credo sinceramente, e questo grazie alla grande squadra di tutti i colleghi di Rai1 che ho accanto, che comunque abbiamo provato a alzare l’asticella dei linguaggi».

Ma pensare a programmi factory che selezionino nuovi talenti? Come accadeva negli anni ‘70/’80. Penso a «Fantastico» di Baudo o a «Non Stop», da dove uscirono nomi come Verdone, Troisi, Arena?

«Nel nuovo ruolo che avrò da giugno, voglio dedicarmi a questo. E lo voglio fare in particolare su Rai2. Ma questo deve valere anche per nuovi autori. Senza capacita’ di scrittura la tv e’ orfana».

Non ci sono troppi talk? «Domenica In», Fialdini, Bertone…

«Ho scelto scientificamente di ristrutturare il Day Time con una consequenzialità, fatta da volti che potessero intrattenere ma anche informare. E i risultati ci hanno dato ragione».

E programmi come “Il cantante mascherato”, importato dalla Corea? Non ci sono troppi format con la stessa formula?

«È un programma scelto dal precedente direttore, Teresa De Santis. La prima edizione era andata in onda con grandissimo successo. Nella seconda eravamo in pieno Covid e forse la maschera, centro del format, faceva a botte con la pandemia. Mi incuriosisce, però, l’apprezzamento dei bambini, dato inconsueto per un canale generalista. Quest’anno faremo un terzo test (da venerdì 11 febbraio su Rai 1, ndr) per capire se riesce ad appassionare di più il pubblico tradizionale».

Lei ha portato novità e numeri all’interno di questa grande azienda. Come si fa a rimanere al passo con i tempi?

«Bisogna avere la capacità di intercettare i gusti del pubblico. Un po’ come avviene nella moda. Nel 2021, abbiamo registrato dati in prima serata che non si avevano dal 2012, e quelli dell’intera giornata dal 2015. Qualcosa di grande è sicuramente accaduto. Credo che, soprattutto nel daytime, la formula vincente sia stata pensare a colti che potessero coniugare l’informazione all’infotainment».

Il programma di Cattelan però non è andato bene.

«È stata una miniserie di due puntate. Penso che Alessandro sia un professionista, con tutti gli elementi che servono alla tv del futuro. Bisogna sicuramente stare più attenti a non fargli veicolare autoreferenzialità che non piace al pubblico: lui presenterà l’Eurovision Song Contest con Laura Pausini e Mika (10/14 maggio, ndr)».

Cosa ci dobbiamo aspettare?

«Uno spettacolo bellissimo. Sono molto “proud” dei tre nomi che ho scelto».

Lei aveva riportato in tv Raffaella Carrà con “A raccontare comincia tu”. Con chi vorrebbe bissare questo merito?

«Con Loretta Goggi. Ci stiamo ragionando ma anche con artisti di altre arti che possono portare talento in tv».

Dal 19 febbraio ci sarà “Affari tuoi formato famiglia” con un testa a testa di Amadeus con Maria de Filippi.

«Sto cercando di riportare l’intrattenimento al sabato sera dopo anni di divulgazione culturale. Come è stato con fatto “Ballando con le stelle in autunno”. Amadeus scatterà una fotografia della famiglia italiana dove il game può diventare strumento conoscitivo».

Ha pensato a un people show per Amadeus?

«Sì, mi piacerebbe fare qualcosa con la gente comune con lui. Ha la dote di saper ascoltare».

Squadra che vince non si cambia. Amadeus quater all’orizzonte sanremese?

«Dopo un successo del genere è inevitabile pensarlo. Ma va pensato con lucidità facendo sedimentare l’emozione. Per ora, reduci da Sanremo, dobbiamo recuperare molto sonno arretrato». (ride, ndr).


Ultimo aggiornamento: Mercoledì 9 Febbraio 2022, 12:01
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