Premio Troisi a Salina. Anna Pavignano, compagna di lavoro e di vita: «Massimo maestro di sorriso e di pensiero»

Dal 16 al 18 giugno nell'isola delle Eolie che fu il suo ultimo set per "Il postino"

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di Totò Rizzo

Enzo Iacchetti, Michela Andreozzi, Vittoria Belvedere e Lucrezia Lante della Rovere sono i vincitori della 12ª edizione del Premio Massimo Troisi che si svolgerà come sempre a Salina (16-18 giugno), l’isola delle Eolie che fu per l’attore e regista napoletano il set dell’addio (“Il postino” di Michael Radford) prima della morte.

Madrina della rassegna (ideata da Massimiliano Cavaleri e Patrizia Casale) è fin dalla prima edizione Maria Grazia Cucinotta che, con Philippe Noiret, affiancò Troisi in quella pellicola e non farà mancare la sua presenza Anna Pavignano, scrittrice e sceneggiatrice, compagna di lavoro, e per quasi dieci anni anche di vita, dell’artista partenopeo. Del quale, proprio nel 2023, si sarebbe festeggiato il 70° compleanno. 

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Premio Troisi, l'intervista ad Anna Pavignano

Anna Pavignano, immaginiamo che settantenne sarebbe stato Massimo Troisi.

«A me piace immaginare che avrebbe conservato la sua capacità di sdrammatizzare, avrebbe mantenuto il suo carattere ma forse sarebbe diventato una persona più morbida, avrebbe imparato a mediare. Massimo era molto determinato su quello che non gli piaceva e non voleva. La coerenza è stata il suo segno, la sua cifra».

Nonostante nel 2024 saranno trent’anni dalla sua morte, molti giovani lo scoprono. Segno che la sua eredità artistica è viva.

«Proprio ieri mi ha scritto un ragazzo di 22 anni, nato quindi dopo la morte di Massimo, confessandomi che è stato con i suoi film una guida fondamentale per la sua crescita. Molte cose, dunque, sono rimaste. E non solo per quel che riguarda la comicità - nella sua tecnica e nei suoi effetti - ma anche sotto un aspetto più profondo, di pensiero, filosofico. Quella capacità che aveva di relativizzare tutto affascina ancora oggi. Massimo non poneva certo l’artista su un piedistallo però era consapevole che il compito dell’artista poteva essere quello di far riflettere persone che per riflettere non avevano certo un gran tempo prese com’erano dai piccoli e grandi problemi quotidiani».

Gli sarebbero piaciuti i social, ad esempio?

«Sì, assolutamente. Massimo era un pigro che passava molto tempo a casa, era allergico alla vita mondana, i social sarebbero stati uno strumento comodo per comunicare. Certo, avrebbe condannato la violenza talvolta bestiale che vi si scarica, non sarebbe stato un “leone da tastiera” ma gli sarebbe molto piaciuto scrivere o dire la sua».

In molti si attestano, spesso arbitrariamente, suoi eredi in arte.

«Ha fatto scuola, questo è vero: nella recitazione, nei tempi comici, nella trasposizione del pensiero sulla scena o sullo schermo. Qualcosa a volte può sembrare un’imitazione, qualcos’altro è invece rielaborato. Io non demonizzo affatto la somiglianza, biasimo però il "copia e incolla"».

Quel suo disincanto in cosa si sarebbe trasformato, oggi, con l’età anagrafica e mutati i tempi?

«Facciamo un esempio.

Massimo spesso si trovava in mezzo a gente che parlava e parlava. Lui stava zitto, ascoltava. Poi, quando prendeva la parola, era capace di centrare il punto debole dei discorsi degli altri, i luoghi comuni, di smontare non solo i ragionamenti, ma anche le situazioni, specialmente quelle finte, costruite che odiava. Magari sarebbe diventato più intollerante, come si diventa tutti col passare degli anni, forse si sarebbe arrabbiato di meno, ma sarebbe stato sempre acuto».

Sembrava che, forse acuita dalla malattia, ci fosse una sorta di fatalismo, di predestinazione. Ha mai parlato della vita, dell’arte che avrebbe voluto ancora fare?

«Aveva come mito Pasolini non solo per la sua profondità ma anche per essere regista, scrittore, pensatore: ne ammirava la versatilità, quel saper fare tante cose. Massimo però aveva un limite: la pigrizia. Chissà, avrebbe potuto scrivere un libro, continuare a scrivere per il teatro, aveva buttato giù anche dei monologhi: ecco, in palcoscenico ci sarebbe tornato volentieri magari solo da autore, senza recitare».

Siete stati una coppia sul lavoro ma anche nella vita.

«Sì, per un bel po’ di anni. Quando il sentimento amoroso è finito, è rimasto un rapporto forte che non  si è mai spezzato».

Ad un suo personaggio Massimo fa dire, tra ironia e disillusione, che “l’amore è esasperazione”. Che coppia eravate?

«Certamente una coppia che, come tutte le coppie degli anni Settanta, sfatava i luoghi comuni del rapporto a due. Eravamo immersi nella cultura di quegli anni, io avevo vissuto l’esperienza del femminismo, stava mutando il senso del possesso all’interno delle relazioni…».

Massimo era il napoletano geloso?

«Sì, ma nella misura in cui il quotidiano ti mette davanti alle contraddizioni tra quello che pensi e quello che fai. Geloso in maniera giusta, diciamo».

I 70 anni di Troisi sono stati ricordati da Mario Martone nel documentario “Laggiù qualcuno mi ama”.

«Sì, il merito di Mario è stato quello di far raccontare Massimo a Massimo stesso, attraverso il materiale d’archivio. Solo io, nel documentario di Martone, parlo in prima persona di Massimo, mentre gli altri - i colleghi, coetanei o arrivati dopo - parlano dell’ “effetto Troisi”. La cosa bella di questo lavoro è che io stessa - che pure con Massimo ho sempre lavorato fianco a fianco - ho portato in primo piano cose alle quali, in tanti anni, non avevo magari fatto caso».

È preservata e diffusa adeguatamente la memoria di Troisi artista?

«A Salina, ad esempio, il premio è un’iniziativa lodevole, meritoria. È come se Massimo sull’isola avesse lasciato un segno fortissimo. Io non ero su quell’ultimo set, in quei giorni. So che era molto stanco, che lavorava solo alcune ore, che spesso Radford ricorreva alla sua controfigura, Gerardo Ferrara, persona carina, dolce, disponibile. So che amava stare a letto, in albergo, ma questo accadeva anche quando Massimo stava bene. Insomma, nonostante la fatica non era sopraffatto dalla sua condizione fisica, sdrammatizzava anche in quei momenti lì. Mi piacerebbe se ci fosse un’istituzione che ne custodisse anche la memoria materiale: io ho molti copioni, ad esempio, altre cose le ha suo nipote, Stefano Veneruso. Se si potessero riunire sarebbe bello».

I progetti di Anna Pavignano.

«Ho molta roba in cantiere, vorrei avere tempo per tutto. Uscirà un nuovo romanzo: il tema è storico, l’emigrazione, un lavoro di fantasia in cui ho inserito anche racconti di mia nonna, una storia che si dipana dal Piemonte (la Pavignano è piemontese, ndr.) alla Francia. E poi sono tra gli sceneggiatori de "I limoni d'inverno", il nuovo film diretto da Caterina Carone che vedrà Christian De Sica in un ruolo soltanto drammatico». 


Ultimo aggiornamento: Venerdì 9 Giugno 2023, 14:33
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