Alessandro Borghi: «In "Diavoli" ho scoperto il lato buono della grande finanza»

Alessandro Borghi: «In "Diavoli" ho scoperto il lato buono della grande finanza»

di Michela Greco
«Questi uomini della finanza sono caratterizzati da un gran dualismo, possono sembrare molto buoni o molto cattivi. Io stesso non ho saputo fino alla fine se Massimo fosse dalla parte giusta o sbagliata». Messa da parte la calata romana e alcuni ruoli da ragazzo di borgata, Alessandro Borghi ha indossato giacca, cravatta, cinismo e un ottimo accento inglese per diventare Massimo Ruggero, co-protagonista con Patrick Dempsey di Diavoli, serie italiana – recitata in inglese - da domani sera su Sky Atlantic e Now Tv. 
 
 

Il suo personaggio viene dal basso: partito da un paesino italiano è arrivato a Londra, dove è ai vertici di una banca d’investimento alla cui guida c’è il suo mentore, poi rivale, Dominic/Dempsey. Massimo è diventato quello che, con un luogo comune viene definito “uno squalo della finanza”, ma che il creatore della serie – e autore del romanzo da cui è tratta – Guido Maria Brera, preferisce chiamare “monaco guerriero”. 

«I miei riferimenti per il personaggio – spiega Borghi - derivano dal libro ma soprattutto dalla possibilità che Guido mi ha dato di conoscere a fondo alcuni contesti con cui non avrei mai avuto a che fare altrimenti. Ho scoperto cose che non sapevo: nel mondo della finanza ci sono persone che seguono i propri interessi con un bassissimo livello di etica, ma ce ne sono anche altre che l’etica la mettono al primo posto. Gli uomini della finanza, che col tempo è diventata sempre più uno strumento politico, sono coloro che devono mantenere l’ordine nel caos».

L’origine italiana del personaggio di Massimo è un elemento rilevante: «È come se la mia italianità in mezzo a quel cast internazionale – commenta l’attore - avesse agito allo stesso modo di quella di Massimo nell’ambiente finanziario: un uomo controllato che non lascia trasparire nulla, finché la sua sicurezza non si sgretola e lascia trapelare l’emotività». Girata ben prima dell’emergenza coronavirus, la serie avrà una seconda stagione che inizierà proprio in una Milano deserta ai tempi del Covid-19: «Non bisognerà tornare come eravamo prima perché il problema era proprio lì – riflette Borghi – Dobbiamo migliorarci. Siamo talmente offuscati dalla rincorsa del successo a tutti i costi che a volte dimentichiamo cosa sia giusto».
Ultimo aggiornamento: Giovedì 16 Aprile 2020, 08:35
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