Lucio Corsi: «Reinvento il mondo con il mio glam rock notturno. Le mie battaglie? Statue che camminano e anime che viaggiano»

L'artista toscano pubblica "La gente che sogna", terzo album in studio. Un viaggio in 9 tracce tra Glam rock e cantautorato classico che sognano e fuggono dalla realtà

Lucio Corsi: «Reinvento il mondo con il mio glam rock notturno. Le mie battaglie? Statue che camminano e anime che viaggiano»

di Rita Vecchio

Ci voleva Lucio Corsi per catapultare l’ascolto su sonorità inusuali. “La gente che sogna" è il suo terzo album, appena uscito per Sugar, e prodotto insieme a Tommaso Ottomano. Il disco è fuori dal tempo, come lo stesso Corsi. 

Chi è la gente che sogna?

«E’ la gente che fugge da questo mondo, grazie al sonno oltre che grazie al sogno stesso. Questo è un disco di fuga dalla realtà, un disco di trasformazione, di cambiamento. Un disco notturno, ci sono l’oscurità e il buio».

Il riferimento è alla sua vita o alla società contemporanea?

«Sicuramente nasce da una riflessione personale. Non parlo di attualità nella mia musica, credo che non sarei capace di farlo. Il riferimento è all’anima intima delle persone, in generale. Il clou è cercare di sfruttare la notte metaforicamente come fosse un foglio bianco, e il buio per cancellare il mondo che abbiamo attorno, re-inventandolo o almeno provando a renderlo migliore». 

Lucio Corsi, 30 anni: qual è il suo immaginario? 

«Ciò che amo fin dall’infanzia. Emily Dickinson, i fumetti di Pazienza, i quadri di Ligabue, il paesaggio attorno a casa mia, nella Maremma toscana. Musicalmente, invece, è il Glam rock anni ’70, genere che in Italia è poco trattato. Si deve andare indietro, arrivare ai tempi di Ivan Graziani, di Ivan Cattaneo e Renato Zero». 

Perché proprio il glam rock? 

«Lo amo perché è una delle forme più colte e intelligenti del rock. Anche difficile, per certi versi. Ci sono delle ballad con salti di tono complessi. Mi affascina tutto questo». 

E "La gente che sogna" che disco è?

«E' un viaggio. Ci sono meno racconti rispetto al disco precedente ("Cosa faremo da grandi", prodotto Francesco Bianconi e Antonio Cupertino sempre per Sugar). Ci sono più dialoghi con entità come la notte che cancella il mondo e ci permette di riscriverlo, dove la finzione è in lotta con se stessa, gli incubi sono necessari per un risveglio con sollievo. E dove i sogni infranti sono fantasmi che ci inseguono, la tela di un ragno nella quale rimaniamo incastrati. C'è pure un coro giapponese, con un testo in giapponese. Mi piaceva l'idea che assomigliasse a un cartone animato». 

Quando si cerca su internet Lucio Corsi si trova la voce “videografia”. 

«Mi fa piacere. Io e Tommaso (Ottomano che produce il disco con lui, ndr) ci teniamo molto. Nei video dei primi tre singoli di questo album c'erano echi del mondo dei Blues Brothers da cui sono rimasto affascinato da quando mio padre mi fece vedere il film. E’ da qui che è partita la mia voglia di fare musica. Mi aveva colpito il loro non scomporsi di fronte ai casini della vita. E poi la musica, Ray Charles, Aretha Franklin, James Brown: un bambino di fronte a quello non può che rimanere scioccato». 

Nella copertina, come negli Ep e nei due dischi precedenti, un acquarello di sua madre. 

«E’ una regola che ho messo io. Questa di “La gente che sogna” è un suo dipinto del 1987». 

Nel brano omonimo all’album, chi sono i manichini della società?

«Era più un mio pensiero, niente riferito alla politica o all'attualità che, come dicevo prima, detesto inserire nella mia musica». 

Perché?

«Perché taglia le gambe e riduce la possibilità di volare. La migliore musica è quella che non ha tempo. Ed è a quella musica a cui si deve aspirare. Non sono in grado di addentrarmi in temi attuali, perché non sono impegnato ogni giorno in battaglie sociali.

Le mie battaglie sono statue che camminano, anime che viaggiano. Non sarei in grado e non è giusto che io lo faccia». 

Cosa risponde a chi dice che gli artisti oggi non si schierano abbastanza?

«Io amo per quello il Glam rock. Era una protesta più forte, che andava sulle onde di una realtà onirica, la musica e il sogno, il travestimento e le maschere».

"Sono anni che nessuno mi trasforma in qualcos’altro”, canta. Si sente più libero rispetto a prima? 

«Anche qui era un pensiero generale. E’ una cosa a cui tengo molto e ho combattuto per affermare il mio punto di vista. Non saprei fare un disco, altrimenti. Sono stato fortunato a trovare attorno a me persone che capiscono questo».

Caterina Caselli?

«Certo. Per me è un riferimento, un'ispirazione, è energia. Avevo 20 anni, era circa il 2015, suonavo chitarra e voce in un locale a Milano. Mi raggiunse in camerino per sapere più di me. Poi non se ne fece niente per anni, fino al 2019, quando abbiamo iniziato a lavorare insieme». 

A proposito di libertà, in "Glam party" dice di "vendere l’anima al diavolo": Lucio Corsi lo farebbe per continuare a fare arte?

«No, no. Forse farei come nel brano. Ne venderei una non mia (ride, ndr)». 

Esiste "un altro mondo"?

«Basta credere agli occhi. Io non ne dubito. Lascerei tutto così come è, e me ne andrei». 

C'è un brano che si intitola "Astronave giradisco". Astronave è una parola usata tanto nella letteratura musicale. Penso a Caputo, Pezzali, Battiato. 

«Per me l’astronave sono le case, hanno i finestrini. E' un modo per me per viaggiare con il pensiero. Amo il cantautorato italiano, lo ascolto e mi viene voglia di mettermi al pianoforte e scrivere. Penso a Ciampi, Conte, Bennato».

Cosa ha significato essere ospite fisso con la band in tv, in questo caso a "L'assedio" da Daria Bignardi?  

«Mi sono molto divertito ed è stata un'esperienza interessante. Ma la tv non mi piace. E’ una scatola, e si sta stretti nelle scatole. Però mi piacerebbe fare uno show in tv, come quelli di Renato Zero». 

Il tuo trasformismo, come viene visto oggi?

«Non mi sento di fare una battaglia. Vorrei esserlo scomodo, ma non credo che io lo sia»

Lei è stato tra i più giovani artisti a esibirsi al Tenco. 

«Ho provato grande gioia. Porta un nome importantissimo della musica italiana. Credo che debba continuare a essere separato dal Festival di Sanremo. Che siano due cose distinte». 

Perchè, cosa pensa del Festival? 

«Penso che è una grande vetrina e che bisogna stare attenti perché facilmente si diventa manichini nelle grandi vetrine. Non ci ho provato, magari un giorno lo farò o magari no. Non so davvero». 

Dopo Milano, suonerà domani 10 maggio al Monk di Roma prima di proseguire con gli altri live. Come sarà il concerto?

«Blues, rock ’n roll e figo. Mi farò trovare pronto, cantava Paolo Conte nella Verde Milonga, come nel migliore degli appuntamenti. Il live è un incontro tra musicista e canzone. E' un messaggio che trovo bellissimo. E lo faccio mio». 

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Qui le date live (prodotte da Ponderosa) di Lucio Corsi:
 
5 maggio – PISA – Lumiere
7 maggio – MILANO – Alcatraz
10 maggio – ROMA – Monk
12 maggio – TORINO – Hiroshima Mon Amour
13 maggio – BOLOGNA – Locomotiv
 
 


Ultimo aggiornamento: Martedì 9 Maggio 2023, 11:49
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