Enzo Avitabile al Womad di Roma: «Villanella o rock, napoletano o swahili: con me la musica apre tutte le porte. Tina Turner? Una grande amica prima che una superstar»

Il cantautore napoletano è stato, nel mondo, tra gli ospiti fissi del festival ideato nel 1980 da Peter Gabriel. "Oggi è facile parlare di contaminazioni ma quarant'anni fa..."

Enzo Avitabile al Womad di Roma: «Villanella o rock, napoletano o swahili: con me la musica apre tutte le porte. Tina Turner? Superstar e amica»

di Totò Rizzo

«Di Womad ne ho fatti molti: Taormina, Londra, Madrid, Dubai… Ma adesso sono strafelice di essere al primo Womad di Roma». È normale che ogni volta che è invitato al festival di world music inventato da Peter Gabriel nel 1980, Enzo Avitabile si senta sempre invitato a nozze. A Villa Ada sarà di scena venerdì 9 giugno con la sua musica, «quella che si inorgoglisce della sua identità – precisa il musicista napoletano, 68 anni di indescrivibile grinta – ma accoglie i popoli della Terra, si arricchisce dei loro idiomi, delle loro lingue. Io credo che pure un villaggio di dieci famiglie o una palazzina di case popolari siano da soli un luogo di comunità, di convivenza, con una loro lingua comune, non dialetto eh, ma lingua».

Che cosa non deve mancare in un set di Enzo Avitabile?

«Non ne faccio una questione di titoli, scaletta o contaminazioni estemporanee con altri artisti. Ne faccio una questione di ritualità e dunque non devono mancare quattro elementi: il suono, la parola, il gesto, la danza. Sia che esegui una villanella o fai rock, sia che canti in swahili o in esperanto».

Facile a dirsi, oggi, contaminazione. Ma quando lei ha iniziato, 40 anni fa, era pura sperimentazione.

«Negli anni Ottanta era difficilissimo fare “passare” queste idee, era un’impresa dura. Portare Afrika Bambaataa a Scampia, per esempio, fu un rischio ma ha dato i suoi frutti e se, come diceva Carmelo Bene, “in arte nessuno è padre a nessuno”, beh io sento comunque d’aver innescato la miccia di quello che è poi stato e continua ad essere il rap napoletano».

Diciamo che non si è fatto mancare niente.

«Sicuramente: da “Black tarantella”, con cui ho vinto il Premio Tenco, all’opera teatrale di Pippo Delbono per la quale ho tirato fuori la mia parte sinfonica, fino alla “Guerra di Piero” in napoletano che grazie a Dori Ghezzi e alla Fondazione De Andrè mi ha regalato un’esperienza incredibile. Per non dire delle collaborazioni, dagli anni con Pino Daniele a James Brown, Tina Turner, Jovanotti».

Un ricordo personale di Tina Turner, morta due settimane fa.

«Il nostro primo incontro, a Riva del Garda, alla “Vela d’oro”, 40 anni fa: io dovevo ritirare un premio, lei era l’ospite d’onore. In diretta tv, su Rai1. Lei canta in primissima serata e lo staff della Emi, che era anche la mia etichetta, la porta subito dopo al ristorante. Lì c’è un televisore acceso sullo show. Arriva il mio turno, le dicono “questo è un giovane artista napoletano”, faccio un’esibizione groovissima e lei entusiasta fa “straordinario, ma aspettiamolo pure per la cena!”.

Quello fu il nostro primo incontro, nel segno del rispetto degli altri: lei la grande star che si appassionava a parlare con un promettente musicista ventottenne. Da lì nacque una bellissima amicizia».

La Turner le fece abbracciare la religione buddhista.

«Sì, ma poi sono tornato alla fede cattolica, per una mia scelta profonda, dopo la morte prematura di mia moglie».

Dopo la quale si trovò solo a crescere due ragazze.

«Che sono diventate due donne straordinarie e grazie a loro sono già nonno quattro volte, anzi, come mi piace dire, mi hanno regalato quattro figli in più».

Tornando alla musica, una bella soddisfazione gliel’ha data di recente Mina che ha voluto inserire nel suo ultimo album la sua “Don Salvato’”.

«Uno splendido regalo. Credo sia la mia canzone più introspettiva, quella con la maggior carica di pathos. Mi ha telefonato Massimiliano Pani e mi ha detto: “Mamma avrebbe intenzione…”. Sono quasi impazzito. Mina ne ha fatto una versione innovativa rispetto all’originale, una trasposizione più elettronica. La sua voce, poi, è come sempre un  miracolo».

Dopo “Il treno dell’anima”, il disco dello scorso anno in cui ha duettato con Bennato, Ligabue, Antonacci, Guè, Rocco Hunt, Boomdabash, Jovanotti, Giuliano Sangiorgi, c’è in preparazione un “Treno” numero 2? Ed eventualmente stavolta chi vorrebbe con sé in sala d’incisione?

«No, per adesso i progetti sono di musica scritta, di composizione. Se dovessi fare un numero 2 del “Treno” mi prenoterei un duetto con Stevie Wonder che mi sfuggì al Lucca Summer Festival. Eravamo lì lì ma non accadde. Ecco, Stevie Wonder mi manca. Ogni suo pezzo è un capolavoro».

Lei ha suonato dai ghiacci polari all’Africa dei deserti. 

«Diceva Eduardo: “Non è il teatro che fa la commedia, la commedia la fai tu”. Tutti i pubblici sono diversi ma l’importante è che la vibrazione ogni volta sia uno scambio a vicenda tra palco e platea. La musica è potente per questo, aràpe tutt’e porte: un’inquietudine, una bellissima inquietudine».


Ultimo aggiornamento: Sabato 10 Giugno 2023, 16:03
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