Villaggio Fantozzi, ricreati 20 set di film con 200 attori. La figlia del "ragioniere": «Quel personaggio che cambiò la vita di mio padre»

A San Felice sul Panaro, nel Modenese, domenica 200 comparse su una ventina di set ricostruiti dai celebri film sul ragioniere. "Un papà affettuoso, un marito incostante, un nonno dolce: così l'ho raccontato nel mio libro".

Villaggio Fantozzi, ricreati 20 set di film con 200 attori. La figlia del "ragioniere": «Quel personaggio che cambiò la vita di mio padre»

di Totò Rizzo

In una piazza ci sarà la celebre scalinata de “La corazzata Potëmkin”, in una strada il soggiorno di Ugo, Pina e Mariangela, un’altra via ospiterà scrivania e faldoni dell’ufficio del ragioniere, poi l’autobus d’epoca preso “al volo” sul cavalcavia e ancora una quindicina di ricostruzioni degli ambienti di “Fantozzi”, in omaggio a chi gli diede vita, Paolo Villaggio. Venti set a cielo aperto, 200 comparse. Tutto questo, domenica, a San Felice sul Panaro, provincia di Modena, su iniziativa della locale Banca Popolare, direzione artistica di Roberto Gatti. Ospite Elisabetta Villaggio, figlia dell’attore genovese, che presenterà il suo libro “Fantozzi dietro le quinte. Oltre la maschera la vita vera di Paolo Villaggio” (Baldini+Castoldi).

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Elisabetta, contenta di questo tributo a papà Paolo?

«Molto emozionata, tanto da farmi accompagnare da mio figlio Andreas, 28 anni, per il quale mio padre è stato un nonno carino, dolce. Ha dedicato più tempo a lui che a noi figli ma questa è una regola che vale in ogni famiglia».

Fantozzi, personaggio che ha attraversato indenne epoche e generazioni. Perché?

«Perché in fondo Fantozzi lo siamo un po’ tutti: a chi non è capitato d’essere imbranato, goffo, fuori luogo? Chi, una volta nella vita, non si è sentito vessato, frustrato?».

Leggenda vorrebbe che Fantozzi esistesse davvero.

«Non si sa se sia stato un personaggio realmente esistito. Papà dava cento versioni ma lui era un gran bugiardo e dunque ha lasciato il mistero. Sicuramente s’è ispirato a qualche collega impiegato al Cosider insieme a lui».

Si è mai sentito prigioniero di quel personaggio lui che ha poi lavorato con Fellini e Strehler?

«No. Proprio perché a Fantozzi doveva popolarità e soldi che gli hanno a loro volta dato la possibilità di scegliere altro, più libertà nel lavoro».

Da mezzemaniche ad attore di grande successo: come avete vissuto questa rivoluzione in famiglia?

«Soltanto cambiando città, trasferendoci da Genova a Roma.

Ma lui è rimasto la stessa persona: certo, lo vedevamo poco ma per lo meno non avevamo più un papà depresso a causa di un lavoro che non gli piaceva»,

Che padre era?

«Non s’è mai imposto, mai urlato, mai dato uno schiaffo. Bastava uno sguardo, però, per farti capire che avevi sbagliato. Con mio fratello Piero è stato più protettivo, con me ci sono stati più volte sfida, conflitto: eravamo uguali».

E che marito era?

«Non certo un marito classico, diciamo incostante. Con mia madre, Maura, si erano messi insieme che lei aveva 16 anni e lui 19. Fianco a fianco per 65 anni. Lei ha tenuto botta perché ha pure lei la sua bella tempra».

I parenti, gli amici?

«Era forte il legame con mio zio Piero, suo fratello gemello. L’uno opposto dell’altro. Papà bulimico, zio quasi anoressico, lui genio e sregolatezza, l’altro docente di matematica alla Normale di Pisa. Anche lui con qualche bizzarria però: non ha mai portato le calze, nemmeno d’inverno, diceva che metterle gli avrebbe rubato  un minuto al giorno. Gli amici più cari? Il primo posto spetta a Fabrizio (De Andrè, ndr.), amico da sempre. Poi Gassman, Tognazzi, Ferreri, Pozzetto, lo scultore Mario Ceroli e Paolo Fresco, presidente della Fiat».

Perché ha deciso di scrivere questo libro su suo padre?

«Perché ho capito che la sua memoria è sempre viva nella gente, le sue battute se le lanciano ancora i ragazzi per strada e così ho deciso di raccontarlo in alcuni aspetti inediti».

Lei ha scelto la sua stessa strada: il cinema, la televisione. Da autrice e regista.

«Si ma per realizzarmi, finito il liceo, sono andata via, per anni: Londra, l’America. Qui mi sentivo sempre “la figlia di”. Quando sono tornata in Italia ero già attrezzata professionalmente, già separata, con un bimbo piccolo e così ho virato verso la tv che mi prendeva meno tempo del cinema».

Suo padre l’ha incoraggiata?

«Non mi ha scoraggiato, mi ha insegnato però a cavarmela da sola».

Sono sei anni che non c’è più.

«Nella memoria c’è sempre. Mamma è molto discreta, ne parla poco. Ogni tanto si lascia scappare “lo sogno spesso” oppure “mi manca”».

Vero che mamma ha un manoscritto di papà che non fa vedere nemmeno a voi?

«Vero. Sono le prime pagine del romanzo che ha iniziato solo in tarda età, un romanzo in forma classica, “Il giardino di Gerlando”: un quadernetto scritto a mano con la sua grafia pessima, quasi indecifrabile. Finirlo e pubblicarlo era il suo sogno nel cassetto».

Da figlia, ha qualche rimpianto?

«Forse avrei voluto essere più affettuosa ma l’ho detto, eravamo simili, anche nella timidezza».

E qualcosa che vorrebbe si facesse per ricordarlo?

«Mi dispiace che non si parli più di un progetto dei Comuni di Genova e di Roma, una grande mostra su Paolo Villaggio uomo e attore che avrebbe dovuto prendere il via dal Palazzo Ducale della sua città. Tante belle parole, poi sono spariti tutti». 


Ultimo aggiornamento: Sabato 7 Ottobre 2023, 14:32
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