'Lo chiamavano Jeeg Robot', Claudio Santamaria
e Gabriele Mainetti ospiti a Leggo -Foto

'Lo chiamavano Jeeg Robot', Claudio Santamaria e Gabriele Mainetti ospiti a Leggo

di Michela Greco
ROMA - «Sarebbe bello se alle prossime elezioni amministrative, a Roma, tanti cittadini si riunissero a manifestare indossando la maschera fatta a maglia di Jeeg Robot e inneggiassero a “Enzo Ceccotti sindaco”». 

Dopo aver fatto volare la fantasia creando il primo supereroe borgataro con il film Lo chiamavano Jeeg Robot, in sala da ieri, il regista Gabriele Mainetti ha immaginato anche il passo successivo. Ospite della redazione di Leggo in veste di direttore per un giorno insieme al suo protagonista Claudio Santamaria, Mainetti ha raccontato la genesi di un personaggio rivoluzionario per il cinema italiano, che applica i cliché Marvel alla periferia romana e disegna un delinquentello solitario che acquisisce i superpoteri con un bagno radioattivo nel Tevere, per poi trovare un super-nemico (Luca Marinelli) e un super-amore (Ilenia Pastorelli).
 
«Ci siamo ispirati a un ragazzo di Tor Bellamonaca - ha raccontato - che a 16 anni spacciava per conto del compagno della madre e per questo ha fatto avanti e indietro dal carcere per anni: raccontava che in prigione c'erano sempre le stesse facce, piccoli delinquenti che pagavano i loro conti, ma che i veri cattivi erano fuori». È anche per questo che Santamaria risponde sempre, a chi gli chiede come userebbe i superpoteri, che entrerebbe in Parlamento «per fare pulizia degli indagati».

Presentato alla decima Festa del Cinema di Roma, Lo chiamavano Jeeg Robot arriva in sala preceduto da recensioni entusiastiche e reazioni molto positive di chi lo ha visto alle anteprime: «Persino i puristi del cartone animato di Jeeg Robot che lo hanno visto a Lucca Comics, che erano pronti a scagliarsi contro il film, ne sono rimasti molto felicemente colpiti», ha detto il regista, che ha spiegato: «Come dice De Cataldo, in America si tende a vedere l'uomo che arriva al successo come investito da un'autorità divina, mentre in Italia resta un cialtrone. Per il pubblico italiano è molto difficile sospendere l'incredulità e la sfida del nostro film era proprio questa: usare la commedia all'italiana per creare un eroe ma poi riderci sopra». E infatti, sottolinea Santamaria, «quando capisce di avere i superpoteri, Enzo Ceccotti cerca di usarli per svoltare, ma la vera svolta arriva quando entra in relazione con gli altri». Infine lui, che per diventare Hiroshi Shiba è dovuto ingrassare 20 chili, ha commentato: «In America se ti trasformi vinci l'Oscar, qui da noi per vincere è meglio non trasformarsi ed essere amico di tutti».
Ultimo aggiornamento: Venerdì 26 Febbraio 2016, 09:31
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