Elvis, 3 buone ragioni per non perdere il biopic sul re del rock & roll presentato al Festival di Cannes

Elvis, 3 buone ragioni per non perdere il biopic sul re del rock & roll presentato al Festival di Cannes

di Alessandra De Tommasi

Elton John, Freddy Mercury, Gudy Garland e ora Elvis Presley. La recente rinascita dei biopic musicali continua a stuzzicare la fantasia di pubblico e cineasti.

E il visionario Baz Luhrmann (Mouline Rouge!) non fa certo eccezione. In anteprima al Festival di Cannes fuori concorso, Elvis riporta alla ribalta un mito che non si è mai realmente sbiadito, un artista poliedrico, appassionato e pionieristico. Scomparso prematuramente all’età di 42 anni ha affrontato molti demoni, combattendo non solo la povertà dopo l’abbandono del padre ma anche i pregiudizi di un piccolo centro e, una volta lanciata la propria carriera, anche l’arrivismo del manager, il colonnello Tom Parker (Tom Hanks). Il re del rock & roll prende vita dopo anni di preparativi grazie allo sforzo immane di Austin Butler, alla prova d’autore della carriera.

I due decenni di successi musicali inframmezzati da pellicole hollywoodiane vengono raccontati attraverso le vicissitudini trascorse da bambino prima e da giovane poi. Molto, molto più romanzata, invece, la storia d’amore con Priscilla, incontrata a quattordici anni e sposata a ventuno. In questa versione cinematografica si accenna alla dipendenza, agli eccessi e ai capricci ma si sorvola sulla sudditanza psicologica e sottomissione fisica a cui aveva sottoposto la giovane consorte.

TRE BUONE RAGIONI PER VEDERLO:

UNO. LA SUBLIMAZIONE ESTETICA:

I film di Baz Luhrmann hanno un’impronta stilista, un gusto e una ricercatezza tali da andare oltre il senso stesso di “cornice”. La messa in scena è grandiosa, mozzafiato, spettacolare. Come un giro su una montagna russa da cui si fa fatica a scendere, nonostante il senso di vertigini. La meticolosa ricostruzione dell’immagine di Elvis anche attraverso la collaborazione con Prada offre un contesto di rara maestria per ambientare vicende ancorate alla realtà (anche se ampiamente edulcorate).

DUE. TOM HANKS VILLAIN:

Quella faccia da bravo ragazzo che è valsa una fortuna a Tom Hanks qui viene totalmente trasformata da un trucco sapiente che ingrassa, invecchia e appesantisce.

Colui che ha scoperto e lanciato Elvis si presenta come un personaggio pieno di sfumature ma soprattutto di zone d’ombra. Questo manipolatore con grande fiuto per gli affari è una sorta di Lucignolo: astuto, ambizioso e truffaldino, sa riconoscere il talento e lo spreme fino in fondo. La sola presenza crea un senso d’orticaria immensa, eppure fa parte di questo potente ritratto e ad un certo punto diventa quasi lo specchio in cui il divo si riflette per trovare conferme e approvazioni.

TRE. ILLUSIONI OTTICHE:

Lo spessore che Austin Butler riesce a portare in scena sgomenta e affascina perché in alcuni momenti sembra la reincarnazione di Elvis. Traslato dal sacro fuoco dell’arte, è riuscito a sovrapporre la sua immagine con quella del personaggio lavorando sulla voce, sulla gestualità e sui movimenti. Potrebbe essere appena nata una stella.


IL DIFETTO

Ricevere il patrocinio e la benedizione della famiglia Presley si è rivelato un boomerang perché il regista-sceneggiatore vuole compiacerla a tutti i costi, autocensurandosi. L’eccessiva indulgenza verso gli abusi psicologici subiti (e poi raccontati) da Priscilla appiattisce moltissimo il ritratto di Elvis, spesso mettendolo su un piedistallo, elevandolo a santino e omettendo volutamente tutta una versione domestica, più ossessiva, maniacale e tirannica di quanto non si possa immaginare. Sarebbe stato invece interessante vederne il contraltare domestico, la smitizzazione e il ritorno ad una quotidianità tutt’altro che da favola. Peccato.


Ultimo aggiornamento: Giovedì 26 Maggio 2022, 21:49
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