Omicidio Saman, il papà: «Non l'ho uccisa io, ma qualcuno della famiglia». Il fratello: mandai la foto del bacio. Il processo

Venerdì 3 Novembre 2023, 10:59 - Ultimo aggiornamento: 4 Novembre, 15:17

I giorni dopo la fuga

Nell'aula della corte di assise del tribunale di Reggio Emilia il fratello di Saman ripercorre i giorni successivi alla fuga del padre e della madre. «Ho mangiato con zio e i miei cugini, zio mi ha detto di prendere i vestiti, ha chiamato i miei genitori in Pakistan e ha detto loro che dovevamo scappare perché avevano preso i nostri telefoni. Ma papà gli ha detto che dovevamo stare lì e zio gli ha risposto che lui era in Pakistan e non aveva problemi, ma a noi in Italia ci avrebbero potuto prendere. Io volevo rimanere qui in Italia, mio zio ha detto che avrei trovato nuovi amici altrove. Quella sera abbiamo preparato le nostre cose e il giorno dopo abbiamo preso le bici.
Da Novellara, casa di zio, abbiamo evitato il percorso con le telecamere, abbiamo pedalato fino a Gonzaga da doveva abbiamo preso il treno per Modena e poi Como, dove abbiamo passato la notte in casa di un conoscente. Da lì l'indomani siamo partiti per Imperia».

E ancora: «Lì sono stato accompagnato in questura, ci hanno controllato i documenti. Io e mio zio non ne avevamo, i miei cugini li avevano nelle scarpe, mio zio mi disse di dare un nome falso come aveva fatto lui. Un poliziotto mi disse che non somigliavo a zio e che non poteva lasciarmi andare con lui. Ma io non volevo andare in comunità, gli dissi che se mi avesse mandato lì da solo mi sarei ammazzato. Lo stesso poliziotto mi mostrò la pistola e mi disse fai come ti pare - continua il fratello di Saman - Ero scioccato. Sono finito in comunità, lui ha proseguito la fuga. Ho tentato di scappare dalla comunità. Un pakistano a Lucinasco mi ha aiutato a scappare con altra gente con le lenzuola, mio zio mi diceva che dovevo andare via, così pure mia madre. Mi dicevano che dovevo scappare, andare in Francia».

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