Da Mahsa Amini a Geravand: quando il velo costò la vita
L'hijab e la possibilità di scegliere se indossarlo: il dibattito è tutto qui. In Iran, se non vigesse l’obbligo, Mahsa Amini e Armita Geravand sarebbero vive. E nonostante la rivoluzione delle donne che ha invaso le strade, a settembre il parlamento di Teheran ha inasprito le sanzioni contro chi non lo indossa, con un disegno di legge che vuole punirle fino a 10 anni di carcere.
In occasione del primo anniversario della morte di Amini, la giornalista Masih Alinejad ha parlato a Sky TG24 del velo come il simbolo di un «apartheid di genere», sottolineando che «non è un pezzo di stoffa, ma il pilastro di una dittatura religiosa». Dello stesso parere l’attivista iraniana e conduttrice televisiva Maryam Namazie, contraria al World Hijab Day. «Lì dov'è obbligatorio, scopriamo il suo vero scopo: controllare il corpo e la sessualità delle donne».
Di recente, una bambina di 11 anni a cui era caduto in classe è stata picchiata da un funzionario scolastico», racconta. Secondo l’attuale legge, le bambine tra i 9 e i 15 anni che si tolgono il velo rischiano una multa e gli può essere vietato di lasciare il Paese fino a due anni. «Per le adulte, la pena può includere il carcere o portare alla morte, come nel caso di Mahsa».