Anna Foglietta come la mamma di Afredino: «Ho rivissuto il dolore immenso di Franca Rampi»


di Michela Greco

Ore e ore di angoscia in presa diretta. L'angoscia di due genitori per la sorte del loro bambino di 6 anni. Una sorte appesa al filo di un microfono: quello calato nel pozzo di Vermicino, attraverso cui mamma Franca e papà Ferdinando e poi milioni di italiani in diretta tv - ascoltarono la voce impaurita del piccolo Alfredino Rampi, intrappolato decine di metri sottoterra, mentre i soccorritori cercavano di salvarlo. Quaranta anni dopo quella tragedia, che nel giugno 1981 tenne l'Italia intera incollata alla tv e che ruppe gli argini di ciò che era concesso mostrare (e di come era concesso mostrarlo), arriva la serie tv Alfredino Una storia italiana. In prima tv su Sky Cinema e in streaming su Now in 4 episodi (per due serate, stasera e lunedì prossimo), è diretta da Marco Pontecorvo e interpretata da Anna Foglietta nel ruolo di Franca Rampi.


Anna, come si è avvicinata a questo ruolo delicatissimo?
«Nell'81 ero troppo piccola per capire e poi ricordare, ma non ho voluto vedere le immagini di repertorio: dovevo costruire una distanza dalla storia vera. Non ho incontrato Franca Rampi per rispetto della sua volontà, ma credo che mi abbia sempre tenuto per mano. La stimo infinitamente, in quei giorni era la mamma di Alfredo e di tutti».


All'inizio aveva delle resistenze, dei timori? Come li ha superati?
«Ero molto preoccupata perché sentivo una responsabilità gigantesca per questo ruolo, come cittadina ancor più che come attrice. Poi un giorno un vicino di casa che aveva saputo che avrei fatto Franca Rampi mi ha detto che sua mamma andava a messa con Franca e ha aggiunto: Tu lo puoi fare, perché hai un cuore grande come lei. Questo mi ha commosso, mi ha fatto dire lo posso fare davvero».


Vi siete imposti dei limiti da non superare in questo racconto?
«Questa serie ha un grandissimo pregio: non spettacolarizza il dolore.

Il bambino non si vede mai e quando il dolore è troppo forte la macchina da presa si allontana, quasi si abbassano i volumi per far rientrare quel dolore in una dimensione privata. Ma se c'è qualcosa che ci consente di elaborare davvero questo grave lutto collettivo è il fatto che sia stato funzionale alla nascita di un organo importante come la Protezione Civile, che non sarebbe stata creata in tempi così rapidi senza la tenacia della signora Rampi, mossa da quel dolore».


A proposito di spettacolarizzazione del dolore, qualche giorno fa è stato reso pubblico il video della tragedia di Mottarone. Che ne pensa?
«Che sia inaccettabile. Cosa dà in più, a me spettatore, la visione della tragedia nella sua precisione? Niente! Serve solo ad alimentare la morbosità. È una vicenda tragica che ci ha lasciati tutti attoniti, impotenti».


Possibile che non abbiamo imparato nulla?
«Il punto è che il dolore paga, anche in termini economici. Il dolore fa ascolto. Attraverso il dolore degli altri non vediamo il nostro, è un alibi per non elaborare ciò che siamo davvero. Di persone veramente empatiche che riescono a entrare in sintonia con il dolore degli altri ce ne sono poche».


Sta per interpretare un'altra donna forte...
«Sì, con la regista Costanza Quatriglio faremo un film ispirato alla vicenda giudiziaria che ha investito Ilaria Capua, una donna che ha fatto battaglie importanti per altre donne e ha contribuito al miglioramento dell'umanità lavorando nell'ambito scientifico».


Intervista integrale su Leggo.it


Ultimo aggiornamento: Lunedì 21 Giugno 2021, 08:17
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