Gandalf è libero

Alessandra De Tommasi
ROMA - Sono Gandalf e Magneto, fattene una ragione: anni fa Ian McKellen ha indossato una t-shirt con questa scritta, a conferma della disinvoltura con cui passa da Shakespeare alla cultura pop, attraverso i due personaggi-icona de Il signore degli anelli e degli X-Men. E lo ha ricordato anche alla Festa del cinema di Roma durante la presentazione del documentario McKellen: Playing the part di Joe Stephenson. Nonostante il più alto riconoscimento della corona (Commendatore dell'Ordine dell'Impero Britannico), due Tony, un Golden Globe e le nomination agli Oscar, il 78enne britannico si considera la persona meno interessante al mondo.
Falsa modestia?
«Parlare di me stesso per due giorni di fila di fronte alla telecamera è stata la cosa più difficile della mia carriera, non amo raccontarmi e lo trovo noioso».
Il coming out di Kevin Spacey dimostra che l'omosessualità resta un tabù?
«A me ha solo fatto bene: sono diventato più sicuro in me stesso, nella vita e sul lavoro. La verità mi ha reso libero, anche se l'ho capito solo alla soglia dei cinquanta».
Rimpiange non aver figli?
«L'omosessualità è stato un reato fino a quando avevo 29 anni. La società mi considerava un criminale, mi era proibito fare sesso, figuriamoci pensare ai figli. E poi sono troppo egoista per essere padre, faccio un lavoro che rende tutto possibile, persino volare, perché dovrei voler diventare padre?
Un ruolo che le ha cambiato la vita?
«Quello per cui sono stato scartato a Roma. Avrei dovuto interpretare un bandito siciliano, ma ero troppo british per diventare credibile nella parte. Se mi avessero preso probabilmente oggi non sarei qui».

Ultimo aggiornamento: Giovedì 2 Novembre 2017, 05:00