Cifra tonda per Mario Lavezzi. Don Giovanni della musica italiana, compositore,
Se la vita bussa, Lavezzi risponde?
«Effettivamente la vita mi ha chiuso porte, ma mi ha aperto portoni».
Per esempio?
«Quando lasciai i Camaleonti per il servizio militare che, tra Cantagiri e dischi, avevo rimosso. Incontrai però Battisti e Mogol: ci fu Il primo giorno di primavera e tutto il successo dopo».
E ringraziò la naia.
«Sì (ride, ndr). Ma sul momento non l'avevo vissuta bene. All'inizio fu dura, quando dalla Valganna andai a Roma con un maggiolino bianco usato e con in tasca 20mila lire prestate da mia sorella. Arrivai alla pensione Julia, luogo alla buona dove alloggiavano tutti, dai Giganti agli Equipe 84. Volevo scappare. Io, abituato bene, figlio di avvocato (che ovviamente desiderava altro per me), mi ritrovai a dormire in una specie di grande camerata con amplessi che si sentivano da una parete all'altra. Dove sono capitato? Mi dissi. Mi portano a comprare un giubbotto all'americana al mercatino delle pulci in via Sannio. La sera ero sul palco a suonare con i Camaleonti».
I Camaleonti, Battisti e Mogol. E poi?
«E poi Loredana (Bertè, ndr). La incontrai quando le censurarono Sei bellissima (A letto mi dicevi sempre). Furono fuoco e fiamme. Un vulcano che mi ha forgiato nel gestire tutte le altre».
Vanoni, Mannoia, Oxa...
«Le sento ancora tutte (un po' meno Anna, ma ha un carattere particolare). Per l'album della Vanoni, mi ritrovai a lavorare con Jerry Mulligan. Allora ci si chiudeva tutti insieme a suonare. Eravamo a Forte dei Marmi con lo studio mobile della Fonoprint e tre arrangiatori. Non è come oggi, dove i provini si fanno al pc come fosse una masturbazione. È meglio fare un'orgia (ride, ndr)».
Cinquanta: tirando le somme?
«Pochi rimpianti».
Uno?
«Peccare di ingenuità. Nel lavoro, mi sarei fatto valere di più. Nella vita privata, sarei stato un po' meno sbarazzino. Prima di mia moglie Mimosa, con cui sto da 40 anni, ero così».
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Ultimo aggiornamento: Lunedì 23 Dicembre 2019, 05:01
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