Suicidio assistito, l'appello di Mario, tetraplegico da 10 anni. «Ho lottato, ma voglio farlo vicino ai miei cari»

Prima di procedere, Mario, il tetraplegico che ha ricevuto il primo storico sì per procedere al suicidio assistito, ha voluto parlare in un video

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Il comitato etico dell'Asl delle Marche (Asur) ha attestato che Mario (nome di fantasia di un tetraplegico immobilizzato a letto da dieci anni) possiede i requisiti per l'accesso legale al suicidio assistito. Una vittoria per Mario che da anni lotta per porre fine alle sue sofferenze. Adesso in un video racconta le sue peripezie per poter giungere a quel traguardo che porrà fine al suo dolore. La sua voce è stata mandata in onda in esclusiva al Congresso Ami in corso a Roma.

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Il racconto è straziante, ma al tempo stesso pieno di verità che dimostrano quanto la scelta di Mario sia ponderata, «perché la vita è la cosa più bella che abbiamo e ne abbiamo solo una».

«Sono un malato tetraplegico da 10 anni - racconta Mario - a causa di un incidente stradale. E la mia situazione fisica peggiora giorno dopo giorno. Ho lottato per un anno con querele e diffide. Non ho mai capito perché nessuno si facesse sentire, non capivo questa indifferenza crudele. Finalmente a settembre una chiamata mi ha detto che era stata istituita una commissione medica e che sarebbe venuta a casa mia per verificare le mie condizioni fisiche e psicologiche. Ero la persona più felice del mondo, dopo un anno di sofferenze e sacrifici. Dopo averci parlato ho fatto capire loro le motivazioni della mia decisione. 

Non nego che ho provato una forte emozione. È stata un'esperienza di vita anche il confronto. Perché un conto è guardare le cartelle cliniche e un conto è parlare e guardarsi negli occhi. E mai avrei pensato di trovarmi a spiegare le motivazioni per chiedere la mia morte. Essere contenti per il suicidio assistito sembrerà strano, perché si tratta di morire e io, prima dell'incidente, mai avrei voluto morire, anzi avevo paura. Sono il primo a dire che la vita è bella e che va vissuta

La vita è svegliarsi la mattina e andare a lavoro, la vita è libertà di scegliere ogni giorno cosa fare, chi vedere. La vita è essere autonomi, la vita è anche quando ci sono le giornate no, uscire da soli per farsi una camminata. La vita è la cosa più bella abbiamo e ne abbiamo una sola, la vita è libertà.

La vita non è svegliarsi e sapere di non essere in grado di fare niente fino a sera, non potersi lavare, vestire, spogliare, mangiare, bere. Non poter fare questi piccoli gesti che sembrano scontati. Per me sono un miraggio, ogni giorno sono in balia degli altri e dipendo dall'assistenza e le cure che ricevo. La vita non è stare sdraiati 19 ore al giorno e seduti non più di due ore al mattino e due ore al pomeriggio, ultimamente non riuscire a stare seduti sulla carrozzina per i dolori.

Non sono depresso, non è una questione economica. Ma la mia disabilità ha un lento e costante peggioramento e non voglio arrivare al punto di imbottirmi di psicofarmaci o morfina per portarmi a uno stato di semi incoscienza. Sarebbe un accanimento teraupetico inaccettabile

Non cerco né pietà né compassione. Io ero, sono e sarò una persona solare e ottimista, consapevole della prospettiva sul mio futuro. Purtroppo da 11 anni sono paralizzato dalle spalle ai piedi, a causa di un incidente stradale, destino, colpa mia, non lo so, ma è andata così. Sto combattendo come un leone da allora, ma a causa dei costanti peggioramenti e della mia disabilità e la stanchezza mentale di vivere una vita che di vita naturale e dignitosa non ha più nulla, sono stanco. 

E voglio essere libero di scegliere sul mio fine vita. Io prima dell'incidente ho fatto e avuto tutto dalla vita e non ho né rimpianti né rimorsi e anche dopo ho fatto tutto il possibile per ottenere il massimo di quello che potevo recuperare dalla mia disabilità. Ma sono consapevole che non c'è speranza. Ogni secondo che passa, ogni minuto, ogni ora, ogni giorno è un'interminabile agonia aspettando un futuro che non avrà futuro.

Negarmi un diritto dato da una sentenza della Corte costituzionale sarebbe, oltre che una gravità assoluta, anche condannarmi a vivere una vita fatta di torture, di umiliazioni e sofferenze che non tollero più. Ogni malato disabile o affetto da una malattia irreversibile deve poter decidere quando porre fine alle sue sofferenza e va accettata la sua scelta, qualunque essa sia.   

Ammiro chi non fa la mia scelta. Tante persone diranno che quello che sto facendo è sbagliato, ma parlare senza provare quello che si passa quotidianamente, non può capire. Non si immagina nemmeno un secondo cosa possa essere, io la chiamo sopravvivenza

Volevo ringraziare le persone care che mi sono state vicine in questi anni, specialmente quando ho detto loro della mia scelta e, capendo la mia situazione, mi rispettano. Soprattutto mia madre che mi ha accudito 24 ore su 24 per 365 giorni all'anno ed è il motivo per cui non ho dato il mio vero nome. È per lei.

Già accettare la perdita di un figlio è doloroso, in più se mi fossi esposto mediaticamente sarebbe stato un massacro. 

È ora che le cose cambino nel nostro Paese. Si devono mettere da parte ideologismi, ipocrisie, indifferenza e ognuno si prenda le proprie responsabilità perché si sta giocando sul dolore e le sofferenze di malati e persone fragili». 


Ultimo aggiornamento: Venerdì 26 Novembre 2021, 12:07
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