Filippo, la stroria di una rivincita: «L’emiparesi è la mia forza e lo scrivo in un libro»
di Simone Pierini
Partiamo dal principio.
«Sono nato di 29 settimane, pesavo 850 grammi. Mi hanno dovuto installare una valvola che va dal cervello al peritoneo, ho iniziato a camminare dai quattro ai sei anni. Mio padre e mia madre si separarono quando avevo circa un anno. Mio padre divenne alcolista e mi picchiava da piccolo. Diceva di farlo per spronarmi. La disabilità motoria venne fuori a due anni».
E con sua mamma?
«Da piccolo per strada ho sentito qualche vaff**o mentre lei chiedeva aiuto con la sedia a rotelle. Quando il fidanzato mi prese per il collo andai ospite da mia zia, ma non riusciva a mantenermi. Così andai in una casa di un amico in costruzione, una sorta di cantiere, per poi finire in una stanza in affitto».
A scuola?
«Con i compagni ho avuto un rapporto conflittuale, mi davano del pazzo perché spaccai le porte dei bagni a pugni quando morì mio zio di tumore. Ma quando rischiai di morire, a 16 anni per un’emorragia cerebrale, mi regalarono una maglia personalizzata della Juventus, la mia squadra del cuore».
Perché suo zio era così importante?
«Mi diceva sempre che ero il migliore, ogni volta che ci penso ho il magone, mi ha fatto diventare l’uomo fiero che sono e spero che lui sia fiero di me. Mi ha fatto accettare una condizione fisica che mi porto da sempre».
Per questo l’idea del libro?
«Sì, per non mollare mai, perché c’è una rivincita per tutti. Perché la diversità non esiste, è solo un blocco mentale che si crea nel momento in cui si ha a che fare con qualcuno che non rientra nel proprio schema di super uomo bensì di apparentemente anomalo».
Che sogni ha ora Filippo?
«Voglio costruire palazzi. Voglio una mia azienda, Ho sofferto la fame, non avevo soldi e non lo auguro a nessuno».
Ha visto Paolo Palumbo a Sanremo?
«Lo stimo, è la prova vivente che nulla è impossibile».
Ultimo aggiornamento: Venerdì 14 Febbraio 2020, 15:21
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