Mihajlovic, com'è morto l'ex campione. La dottoressa: «La malattia tra le più aggressive che io abbia mai visto»

Bonifazi ha seguito il decorso di quel male che, alla fine, ha avuto la meglio sulla «voglia di vivere di Sinisa»

Mihajlovic, com'è morto l'ex campione. La dottoressa: «La malattia tra le più aggressive che io abbia mai visto»

L'addio a Sinisa Mihajlovic ha mandato sotto choc il mondo del calcio italiano, ma non solo: un esempio di grinta e carattere in campo da calciatore prima e in panchina da allenatore poi, stroncato dalla malattia che lo ha ucciso nel giro di poco più di tre anni. E della malattia, la leucemia, che lo ha colpito nel 2019 ha parlato la direttrice del programma Terapie Cellulari Avanzate dell'Irccs Policlinico di Sant'Orsola di Bologna, Francesca Bonifazi, che lo ha avuto in cura in questi anni.

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«Sinisa io l'ho seguito fino alla fine, per me è stato un paziente perfetto, con una grande personalità e al tempo stesso con la capacità di affidarsi totalmente. Aveva una malattia molto brutta, tra le più aggressive che io abbia mai visto. Il messaggio che ha dato a tutti noi, il suo grande insegnamento, è il coraggio di andare avanti. Il coraggio di non aver paura di affrontare qualcosa che non si conosce, di sapersi affidare, di lottare senza temere il dolore. Ha sofferto molto, ma lo ha fatto con grande dignità. E il coraggio lo prendevamo insieme, ce lo davamo reciprocamente».

Le parole della dottoressa che lo ha seguito

Bonifazi ha seguito il decorso di quel male che, alla fine, ha avuto la meglio sulla «voglia di vivere di Sinisa». «Pur di vivere - racconta con commozione Bonifazi - avrebbe affrontato qualsiasi dolore, qualsiasi sofferenza.

Non voleva lasciare la sua famiglia, che amava sopra ogni altra cosa». «Il calcio era il suo mondo, certo - aggiunge - ma la sua famiglia era il suo ossigeno».

 

Dalle parole della dottoressa si percepisce quello che poi sottolinea lei stessa: «Per me oggi è morto non solo un paziente, ma anche un amico». E nonostante tutto, «io dico sempre che la malattia più brutta è quella che si affronta da soli», riflette. «Il suo male era cattivo, resistente a tutte le terapie, ai trapianti, però ha avuto attorno una serie di relazioni di affetto per cui non è mai stato solo». «In ospedale si è fatto ben volere da tutti, non c'è una sola persona dai medici agli infermieri agli ausiliari al personale tecnico.. gli hanno voluto tutti molto bene».


Ultimo aggiornamento: Sabato 18 Marzo 2023, 21:08

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