Marco Albarello, oro olimpico e mondiale nello sci di fondo compie 60 anni: «Lo sport senza pubblico non ha senso, ma attenti ai nuovi lockdown»

Marco Albarello, oro olimpico e mondiale nello sci di fondo compie 60 anni: «Lo sport senza pubblico non ha senso, ma attenti ai nuovi lockdown»

di Massimo Sarti
«La gente è l'anima di un evento sportivo, ma adesso bisogna stare attenti per non tornare in lockdown». Per Marco Albarello il 60° compleanno (è nato ad Aosta il 31 maggio 1960) è unito alla grande voglia di ripartenza dopo lo stop imposto dal Covid-19. Non solo della sua Valle D'Aosta (risiede a Courmayeur ed è responsabile eventi sportivi della Regione autonoma), ma di tutta l'Italia. E non solo del suo sci di fondo, ma anche del calcio (dal 2017 è delegato Figc per la Valle d'Aosta) e di altre discipline. Sport, turismo, montagna, natura: tanti i temi trattati con Albarello. Partendo però dai trionfi di una lunga carriera nello sci nordico negli anni '80 e '90. Tra individuali e staffette, quattro medaglie ai Mondiali (spicca l'oro nella 10 km ad Obersdorf, in Austria, nel 1987) e cinque ai Giochi Olimpici. Qui la punta è l'oro conquistato nella staffetta 4x10 km a Lillehammer nel 1994, insieme al 43enne Maurilio De Zolt, a Giorgio Vanzetta e a Silvio Fauner, protagonista della volata mozzafiato con l'idolo di casa Bjorn Daehlie.

Fu un successo, quello dell'Italia, reso ancora più memorabile dall'infinita “marea rossa” del pubblico norvegese. Anche quello scenario fece storia. E pensare che adesso, per far ripartire lo sport dopo il Coronavirus, si è costretti alle porte chiuse. Quasi a considerare la gente secondaria...

Sono molto sensibile a questo tasto. Nello sci di fondo, anche in staffetta, sei da solo contro gli avversari a gareggiare per te stesso, per la tua squadra e per il tuo Paese. E il pubblico, in quel caso 200mila spettatori, ti spinge davvero a dare tutto, a cercare il limite. Ora è necessario tenerlo fuori, cosa imposta da una pandemia che non è uno scherzo. In molti non ci sono più e l'economia continuerà a faticare per un bel po'. Tutti dobbiamo lavorare bene per non tornare in lockdown. Però un evento sportivo senza pubblico è un evento a metà. Ho visto le partite della Bundesliga tedesca. Con lo stadio vuoto non c'è lo stesso pathos.

Come è la situazione degli eventi sportivi in Valle d'Aosta?

Molti non si terranno in questo 2020 perché non vogliamo fare niente contro le regole. E tante sono manifestazioni che uniscono l'agonismo allo spirito dello stare insieme in uno scenario paesaggistico unico come quello della Valle d'Aosta, più bello di tante cose splendide viste per il mondo. Infatti, appena terminato il lockdown, ho ripreso a correre proprio per vivere questi luoghi. Non sono mai stato un divo del palcoscenico, mi è sempre piaciuta la solitudine. Speriamo però che, con la riapertura tra le regioni, le nostre montagne tornino ad essere frequentate, perché viviamo essenzialmente di turismo. Abbiamo tutti affrontato lo stop stando in casa, ma già concentrati sul dopo. Frequentate, ma anche rispettate, perché spero che da questa pandemia si possa imparare a rispettare di più ciò che ci circonda.

Quali sono gli altri ricordi speciali della sua carriera?

Sono tanti, oltre a quelli di Lillehammer dove vinsi anche un bronzo nella 10 km. A cominciare dall'argento mondiale a Seefeld in staffetta nel 1985: fu il mio esordio e venni “buttato” a gareggiare al posto di un compagno che aveva avuto dei problemi. Nel 1987 ad Obersdorf ero in gran forma, ma non potevo sapere sino al punto di conquistare l'oro iridato nella 10 km. Ricordo con ancora maggior piacere le medaglie dei Giochi Olimpici di Albertville 1992, tanto sperate ed agognate. Arrivavo da un periodo difficile e feci argento nella 10 km e in staffetta, oltre a due quarti posti nella 15 km a inseguimento e nella 30 km. Il bronzo in staffetta ai Giochi di Nagano 1998 fu il più duro, la concorrenza per entrare in squadra era davvero alta. A quel punto decisi che, come atleta, mi potevo anche smettere.

Appesi gli sci al chiodo, divenne direttore tecnico azzurro tra il 2002 e la stagione 2007-08, con il picco di successi ai Giochi Olimpici di Torino 2006 (due ori e due bronzi). Come è invece il momento attuale del fondo italiano?

Ci sono pochissime luci accese. Due mesi fa il presidente della Fisi Flavio Roda mi ha contattato per chiedermi un aiuto per risolvere le problematiche del fondo italiano. Ma siamo rimasti d'accordo una settimana fa che in questo periodo era difficile fare grandi cambiamenti e che quindi non se ne faceva nulla. Bisognerebbe cambiare sistema e persone, altrimenti sarei in disaccordo su certe scelte. E io sono una persona troppo chiara e sincera per accettare compromessi. O si cambia davvero, o niente. Comunque mi sono messo a disposizione.

Come è nato il suo impegno nel calcio?

Ho sempre giocato a calcio. Facevo di tutto per giocare in Prima o Seconda Categoria qui in Valle d'Aosta. Quando potevo, ovviamente non in inverno, ma mai l'ho potuto dire. Sono sempre rimasto nell'ambiente e nel 2017 ho accettato la proposta di diventare delegato all'interno del Comitato Regionale Piemonte-Valle d'Aosta, su proposta del presidente Christian Mossino. Dalle società sta salendo una preoccupazione diffusa. I campionati regionali, provinciali e giovanili sono fermi, stiamo attendendo non solo le norme per promozioni e retrocessioni, ma anche i protocolli per riprendere a settembre. Perché al di là delle problematiche economiche, bisogna far ripartire un'attività che deve essere soprattutto divertimento per tutti.
Ultimo aggiornamento: Domenica 31 Maggio 2020, 09:43
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