Ligabue presenta Start: «Il mio nuovo disco, sfacciato e provocatorio»

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di Rita Vecchio
«Certe donne brillano. Certe donne bastano. Certe donne chiamano di notte che ti piaccia oppure no». Sembra un manifesto sulle donne quello che dà titolo al nuovo singolo di Luciano Ligabue che proprio oggi - 8 marzo e festa delle donne - esce con Start. Sfacciato verso il futuro. Provocatorio verso il presente. E a tratti incazzato. Così definisce scelte e fisionomia il rocker di Correggio che l’anno prossimo compirà 60 anni e festeggerà 30 anni dal suo primo disco.

Certe donne brillano. Chi sono “certe”?
«È la galleria delle donne che sono nella mia memoria, quelle con cui ho avuto relazioni che più hanno lasciato un segno, nel bene e nel male: racconto anche la sofferenza avuta con una. È una sorta di album fotografico della memoria, e dico con quanto sentimento mi porto dietro la memoria di queste donne. Il video è girato all’Italghisa di Reggio Emilia dove ci sono solo donne, eccetto io».

Il ruolo delle donne nella sua vita?
«Certamente decisivo. La donna che ho sposato da anni ha un ruolo molto importante perché ha uno sguardo amorevole verso le persone e il mondo in generale. Cosa che non è sempre da me: il mio sguardo spesso è arrabbiato, a volte incazzato. Mi sono nutrito del suo sguardo: ci ho cercato più respiro dentro. Questo perché se ti convinci che la realtà è cupa, vivi in modo cupo; se invece credi che ci sia luce, vivi un momento luminoso».

“Start”: un titolo che è partenza?
«Sì. Volevo essere un po’ provocatorio e paradossale. E che fosse di auspicio. È il mio ventiduesimo album e ogni volta è una partenza: i miei dischi non sono una storia in sequenza. Questo, a differenza di Arrivederci mostro, Mondovisione o Made in Italy, non ha un filo conduttore. Essenziale, netto e senza sprechi. L’album più breve della mia carriera: solo dieci tracce. A questo giro, volevo mettere solo quello che mi piaceva».

Più rock?
«Basso, batteria e chitarre: non so se lo è, so che dentro c’è molta energia. Il produttore Federico Nardelli - praticamente un “bambino”, nato l’anno prima che uscisse il primo album - ha dato forza a Start».

Che arriva dopo uno stop forzato.
«Dopo un anno complicato, forse il più complicato della mia carriera. L’influenza e lo spostamento dei concerti. L’operazione alle corde vocali e un altro spostamento dei concerti. La fatica. La paura di perdere il controllo del canto. Perché anche se ti dicono che dopo canterai meglio, hai paura».

Cosa le ha dato forza?
«Vedere quelli che avevano comprato il biglietto per i live, mantenerlo. Io avevo paura di non potere più cantare e loro già sapevano che ci sarei riuscito. Li ho ringraziati ogni sera».

Saranno pronti anche per Start Tour.
«Nove date (finora) per nove stadi. E sarà una festa come ogni mio concerto. Parto da Bari il 14 giugno, a Milano il 28 e chiuderò a Roma (12 luglio)».

Per la serie, il meglio deve ancora venire. A chi dedica il disco?
«Sono sfacciato nell’affrontare il futuro: e lo dedico al futuro»

In “La cattiva compagnia” c’è suo figlio Lenny alle batterie. Prima volta?
«Il metallaro… Da bambino aveva fatto un accompagnamento per un’altra canzone, Taca banda. Ma quello era un gioco, qui fa sul serio».

Per il video di “Luci d’America” è volato nel deserto…
«Per la voglia di vedere la realtà. Noi conosciamo veramente solo quella che viviamo. Io ho la fortuna di avere accanto mia moglie che mi fa vedere la realtà con molta più speranza. “Vieni qui e guarda fuori, fammi un po’ vedere come tu la vedi, io vedo fumo sulle macerie, tu guardi nello stesso punto e sorridi».

Che macerie?
«L’imbruttimento generale. E pure i social ci fanno vedere quanto cattivi possiamo essere. Ci vogliono buoni compagni di viaggio».

Il suo nemico peggiore?
«Me stesso. Siamo tutti frutto di un’educazione che condiziona. Fin dall’asilo in competizione gli uni con gli altri, costruiti per avere successo nella vita. Abbiamo famiglie in cui si è infelici e vediamo la frustrazione negli occhi degli altri. Io mi sento sfacciatamente fortunato, ma questo non significa che io sia sempre felice. Da cosa dipenda non lo so. Ci vorrebbe uno psicologo. Mi vado bene così per ora, anche con la consapevolezza che dentro di me il mio nemico c’è, e non paga l’affitto (ride, ndr)».

Un “mai dire mai” della vita?
«Ho imparato a dirli sempre. Dopo Radiofreccia avevo detto che non avrei più fatto un film, e poi ne ho fatti altri due».

Quindi per i sessant’anni un altro film?
«Boh. Non credo. Spero che i regali li facciano a me».
Ultimo aggiornamento: Venerdì 8 Marzo 2019, 14:12
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