The Imitation Game: ecco perché la storia
di Alan Turing fa incetta di nomination

The Imitation Game: ecco perché la storia di Alan Turing fa incetta di nomination

di Fabio Ferzetti
Milioni di persone in questo momento stanno cercando qualcosa su un motore di ricerca, Ma pochi forse sanno che gli algoritmi grazie a cui possono ricevere una pizza calda a casa o consultare gli ultimi studi su Sant’Agostino non esisterebbero senza un genio a lungo misconosciuto, l’inglese Alan Turing.



Che prima di addentare una mela al cianuro (da cui, secondo la leggenda, il simbolo della Apple) fece due o tre cose di qualche importanza. Come decifrare l’inviolabile codice segreto dei nazisti, salvando milioni di vite umane, grazie a una macchina rivoluzionaria progenitrice dei moderni computer.



La storia di Turing è così dolorosa, la sua personalità così singolare e complessa, che c’è voluto tempo perché uscisse dalla cerchia degli specialisti diventando ben presto una sorta di icona: della libertà, del genio scientifico e dell’ingratitudine politica.



O peggio: perché se nessuno, malgrado i servigi resi in guerra, fece nulla per difenderlo dalla castrazione chimica per omosessualità (allora un reato), qualcuno vede l’ombra dei servizi segreti dietro l’oscura fine di questo «uomo che sapeva troppo».



A far entrare definitivamente Turing nella mitologia popolare penserà comunque questo film molto convenzionale, ma non meno accurato e efficace, che romanzando la monumentale biografia di Andrew Hodges (Bollati Boringhieri) rievoca l’uomo e lo scienziato cercando nell’uno la chiave dell’altro e viceversa.



Per farne anche - come dubitarne - un antesignano dell’era digitale, con relativi slogan e luoghi comuni al seguito, mimetizzati nella storia romantica del gruppo di scapestrati e del genio quasi autistico, ma carismatico e appassionato, che in barba a regole e gerarchie salvarono il mondo se non se stessi.



Non sottilizziamo troppo però. Apple o non Apple, la parabola di Turing è avvincente e il bel volto dell’ottimo Cumberbatch perfetto per il ruolo. Si parte nel ’54 dunque, quando l’allora ignoto professore subisce uno strano furto che insospettisce un poliziotto zelante. Si torna al ’39, quando il 27enne Turing è assunto con altri accademici in un dipartimento segreto specializzato in crittografia.



Quindi si fa la spola fra queste epoche e i tormentati anni del college, dosando con cautela gli elementi più personali (l’omosessualità resta del tutto astratta, l’uomo era molto meno ascetico di quanto appaia nel film) per concentrarsi sull’impresa della macchina di Turing. Un gigantesco catafalco ronzante e irto di cavi che quasi ruba la scena a Cumberbatch, ma è visto a lungo dai superiori (e dai suoi stessi compagni) come un costoso e inutile aggeggio.



Mentre a vincere saranno proprio la tenacia dello scienziato, la spregiudicatezza con cui difende, e non solo, la talentuosa enigmista reclutata con un concorso su un giornale (Keira Knightley). E il suo ostinato, geniale ignorare codici e regole sociali che non condivide, anzi proprio non capisce; così come, da logico puro, non capisce umorismo e metafore.



Si può sorridere di queste semplificazioni, ma siamo già un passo avanti. Nel 2001 Mick Jagger produsse la spy story Enigma, che romanzava le gesta dei ragazzi di Bletchley Park tacendo il nome di Turing. Questo film ce lo avvicina fino a farne quasi una star dei nostri tempi. In fondo basta saperlo.



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Ultimo aggiornamento: Sabato 17 Gennaio 2015, 09:22
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