Il "Pinocchio" di Matteo Garrone: "Il mio burattino così italiano, così universale"
di Michela Greco
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Una fiaba che rappresenta una grande occasione e un grande rischio per ogni regista, a cui anche Fellini danzò a lungo intorno, e a cui Garrone ha offerto la potenza di un racconto di grande qualità visiva e l’atmosfera magica di un mondo antico popolato di suggestivi animali antropomorfi. «Abbiamo fatto questo film per far riscoprire un grande classico molto vivo nell’immaginario di tutti. Sono partito dalle origini – ha spiegato Garrone – Narrativamente volevo rimanere fedele al testo di Collodi e dal punto di vista figurativo il mio punto di riferimento sono state le illustrazioni di Enrico Mazzanti e i dipinti dei Macchiaioli. Anche il Pinocchio di Comencini mi ha ispirato per la sua atmosfera e il senso di povertà». Geppetto, qui, è incarnato da Roberto Benigni (che nel suo film del 2002 aveva interpretato invece il burattino), invecchiato e segnato dalla povertà. «Non ricordo qual è l’ultimo Pinocchio che ho visto in Italia e chi lo abbia fatto, ma questo di Garrone è il più bello che abbia mai visto - dice ridendo – Geppetto è il padre per eccellenza, il padre più famoso del mondo insieme a San Giuseppe: entrambi hanno figli adottivi che scappano, muoiono e risorgono. Essere nel Pinocchio di Garrone è stato per me il compimento di un percorso, Matteo è uno dei più grandi registi di tutti i tempi, per lui farei anche la balena».
Con quattro ore di trucco al giorno il piccolo Federico Ielapi si è trasformato in Pinocchio, circondato da interpreti perfetti per fisicità, trucco e costumi: Rocco Papaleo e Massimo Ceccherini per il Gatto e la Volpe, Gigi Proietti per Mangiafuoco, Marine Vacth per la Fata turchina. «È un film che racconta personaggi tipicamente italiani e, insieme, universali: andava fatto con facce italiane – ha sottolineato il regista – Collodi lo avrebbe amato, così spero, nel fare il film abbiamo sempre pensato a lui con grande rispetto».
Ultimo aggiornamento: Venerdì 13 Dicembre 2019, 08:48
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