Napolinegra di Vincenzo Sbrizzi, 25 storie di chi è venuto dal mare che non si può far finta di non vedere

Napolinegra di Vincenzo Sbrizzi, 25 storie di chi è venuto dal mare che non si può far finta di non vedere

Venticinque storie di persone che hanno dovuto affrontare il mare per mettere in salvo la propria vita si rincorrono in Napolinegra di Vincenzo Sbrizzi, il secondo voluma della collana "Cronisti scalzi" che la Iod Edizioni ha dedicato a Giancarlo Siani. 

Persone rapite e vendute come schiavi nel deserto. Persone che hanno visto la morte appropriarsi di tutto intorno a loro. Storie vere di migranti intervistati dall'autore che in comune hanno il viaggio e la sofferenza ma anche la voglia di prendersi il futuro che hanno sempre sognato. Come Adam che è partito a 14 anni dal Mali per diplomarsi a 25 anni in Italia o come Justina che si è salvata dalla prostituzione grazie a Chris conosciuto in Libia. Come Paboy che ha rimosso completamente le settimane di tortura in Libia o come Rachelle che lì ha perso l'amore della sua vita. Come Saeid arrivato in Italia in un container o come Fata che ha visto un suo amico scomparire nella sabbia. Come Abrar picchiato a sangue tra le strade di Napoli o come Bechir che ha rischiato di morire per un problema cerebrale in attesa dei documenti. E poi le torture subite da Kebe', da Dimitri, da Abdul o le angherie della burocrazia che i decreti sicurezza hanno alimentato. Venticinque storie di persone che vivono tutti la loro nuova vita a Napoli, città “irregolare” come loro e forse per questo l'unica capace di dargli un po' di accoglienza.

Vincenzo Sbrizzi, giornalista originario di Torre Annunziata, vincitore del Premio Giancarlo Siani 2020, racconta le storie di migranti che hanno trovato in Napoli il loro porto sicuro. Storie di sofferenza e di forza fuori dal comune, raccontate in modo crudo e diretto con l'obiettivo di far diventare persone coloro che solitamente vengono considerati numeri. Racconti di famiglie abbandonate da minorenni, torture, rischi, botte, vessazioni, schiavitù, ingiustizie e cieca burocrazia. Ma anche sogni, affetti, coraggio, voglia di normalità. Persone che si sono fidate dell'autore e gli hanno concesso di entrare nel loro mondo, spogliandosi di ogni pudore grazie al coraggio di voler urlare cosa sta ignorando in questo preciso istante l'Occidente. Una strage moderna di cui nessuno vuole farsi carico, con l'aggravante che oggi si hanno tutte le informazioni a disposizione eppure si è deciso di ignorarla.

«Il mio incubo più ricorrente, sin da quando ero adolescente, è quello di trovarmi in mano ai nazisti in un campo di concentramento – scrive l'autore nell'introduzione -.

Come tutti gli esseri umani, sono abbastanza codardo da svegliarmi quando nel sonno mi rendo conto che le cose si stanno mettendo male. Parlare con queste persone però mi ha fatto capire che in realtà i nazisti di oggi siamo noi – continua senza mezzi termini -. Lo sono anche io che non sto muovendo un dito. Che a ogni libro che ho letto, a ogni film che ho visto o testimonianza che ho ascoltato sulla Shoah ho sempre esclamato: “Ma com’è possibile che nessuno se ne accorgesse. Com’è possibile che nessuno facesse niente”. Queste persone mi hanno insegnato che invece è possibile perché è quello che stiamo facendo tutti noi in questo preciso istante. I campi di concentramento ci sono in Africa e nell’est Europa ma noi facciamo finta di non vederli. Noi non facciamo nulla. Io non faccio nulla».

Queste parole, come tutte quelle del libro, scelte grazie all'editing di Maria Rosaria Vado, sono dei pugni dello stomaco che l'autore infligge a se stesso e ai lettori. Sassi scagliati contro chi ha deciso di assuefarsi all'orrore. Come la copertina realizzata grazie alla creatività di Gix Musella, esperto in grafica editoriale e della comunicazione, con gli scatti di Alessandra Finelli, che ritrae una pietà nera. E la direzione artistica del giovane editore Francesco Testa.

Una madre che piange un proprio figlio, il simbolo della cristianità dedicato a chi adesso porta sulle proprie spalle le sofferenze del mondo come Maria nell'immaginario cristiano. E poi c'è Napoli, il filo conduttore di tutte queste storie. Lo sfondo lontano dall'oleografia comune sulla città. Una città sporca, bistrattata, insultata, “negra” come i protagonisti delle storie, ma pronta ad accoglierli. Con tutti i propri limiti, i propri difetti, ma come una madre che non fa differenze tra i suoi figli. A tutti riserva le stesse opportunità e gli stessi pericoli. L'unico posto rimasto in Italia dove essere povero non è un delitto. L'unico posto dove i poveri non voltano le spalle agli altri poveri.


Ultimo aggiornamento: Martedì 13 Aprile 2021, 14:41
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