"Crazy": a Roma la follia dell'arte si mette in mostra

"Crazy": a Roma la follia dell'arte si mette in mostra

di Valeria Arnaldi

É un cielo capovolto, specchio di quello romano, letteralmente da calpestare - e che si “spezza” ad ogni passo, quasi a voler far franare il mondo, perlomeno come lo conosciamo - ad accogliere i visitatori di “Crazy. La follia nell'arte contemporanea”, a cura di Danilo Eccher,  ospitata al Chiostro del Bramante, dal 19 febbraio fino all’8 gennaio 2023. Non una semplice mostra, ma come sottolinea il curatore, una più complessa «narrazione», composta dai lavori di ventuno artisti di rilievo internazionale, con oltre undici installazioni site-specific concepite e realizzate appositamente per evento e spazio. Primo obiettivo, indagare il rapporto tra creatività e follia, il sottile confine tra fantasia e allucinazione, sogno e incubo, passione e ossessione. E ripensare l’orizzonte, sollecitando un nuovo modo di guardare all’arte, che dopo la pandemia, con i cambiamenti  imposti alla vita quotidiana e sociale, richiede maggiore libertà: di pensiero, espressione, sentimento ma anche, in termini concreti, di luoghi, rinnegando la costrizione in quelli ad essa abitualmente deputati per andare oltre e diffondersi, senza regole e confini. E l’intero iter, che gioca tra ambienti interni ed esterni, invita a scegliere nuovi punti di osservazione sul mondo a inseguire lo straordinario, l’eccezionale, l’incanto, ma non senza l’inquietudine di lasciare il noto per l’ignoto, l’ordine riconosciuto per un altro tutto da ideare.

Massimo Bartolini, Starless, 2011/2022

«Questi eventi, tutti, uniscono una parte spettacolare ad una di più profondo racconto – dice Eccher – il percorso si fa passibile di più letture. Il progetto è nato quando la pandemia non era esplosa, l’intento era indagare la follia anche nelle sue ombre, poi il Covid ci ha fatto sperimentare ampiamente il dolore». E nel progetto, organizzato e prodotto da Dart - Chiostro del Bramante a conquistare lo spazio è, prima di tutto, la ricerca, innata, della meraviglia. Ecco allora il cielo riflesso di Alfredo Pirri, che riveste il pavimento del chiostro con specchi rotti, calpestabili, per far camminare il pubblico tra le nuvole, come in un sogno, appunto, ma, con la consapevolezza della fragilità, segnata dalle crepe, e l’emozione di una inattesa vertigine. Ed ecco la colata di pigmenti colorati con cui Ian Davenport colora la scalinata esterna, tra piano terra e primo piano, che richiama al contempo arcobaleno e tavolozza, invitando a rivestire l’ambiente, anche interiore, di nuove tonalità.

Ian Davenport, Poured Staircase, 2022

Ideali pilastri di questo percorso, prodotto e organizzato sono due opere storiche, l'ambiente spaziale di Lucio Fontana, immersione nel bianco assoluto con “taglio” a suggerire, forse promettere, l’esistenza di un universo altro, realizzato nel 1968, e quello labirintico, oscuro, frastornante di  Gianni Colombo, opera del 1970, che mette in dubbio l’idea stessa di equilibrio, imponendo il movimento - e la volontà che lo determina - come unica certezza nell’indefinito.

Si corre, dunque, di opera in opera, con continui ribaltamenti di prospettiva, in un intenso dialogo tra soffitto e pavimenti, alto e basso, dove ogni consuetudine pare frammentarsi. É così nei candelabri floreali, vestiti di cera e sospesi al soffitto, di Petah Coyne. E nel vortice di farfalle nere, ben quindicimila, di Carlos Amorales, che tappezzano la scala interna, quasi a voler travolgere l’osservatore in quella suggestione di volo. E ancora, dal video che indaga la costruzione identitaria di Yinka Shonibare CBE all’installazione eseguita con materia filiforme  colorata di Hrafnhildur Arnardóttir. Poi, il crollo rappresentato da Thomas Hirschhorn, che nel disastro trova una nuova forma di ordine, e il soffitto che invece si “apre” a mostrare spazi – anche di riflessione – alternativi con Anne Hardy. E le luminarie di festa di Massimo Bartolini, composte in installazione a terra, intermittenti, e gli uomini-pietra di Sun Yuan & Peng Yu, sculture iperrealistiche con le teste, però, “avvolte” da macigni, senza la possibilità di comunicare, nonché il labirinto di abiti di Sissi, a meditare sul concetto di immagine di sé, tra maschera e rivelazione, o il cielo di Roma – tematica che torna – che diventa rimando all’iconografia della pittura italiana ma anche al design, nel lavoro di David Allen Burns e Austin Young, che occupa la Sala delle Sibille, con vista sull’affresco di Raffaello nella Chiesa di Santa Maria della Pace. A impreziosire l’iter, le sollecitazioni letterarie nell’audioguida, da Lewis Carroll a Jorge Luis Borges, da William Shakespeare a Tim Burton, e, tra le novità, la musica originale di Carl Brave, “Organica”, scritta per la mostra, seguendo il ritmo e l’alternarsi delle opere.

Carlos Amorales, Black Cloud Fashion, 2022

Passo dopo passo, le emozioni si fanno sempre più intense, in un viaggio che diventa anche percorso interiore, alla scoperta delle proprie follie, dichiarate o inconfessabili, concretizzate o rimaste desideri, fino a fare i conti con il proprio “specchio”, che non è immagine riflessa, ma “segreto” svelato in un neon di Alfredo Jaar: la paura di fare i conti con l’enormità – che non è immensità - del possibile.

L’infinito potenziale di essere tutto ciò che si vuole. O quantomeno di tentare.


Ultimo aggiornamento: Venerdì 18 Febbraio 2022, 22:35
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