Omicidio Bossi, Michele Caglioni: «Sono innocente. Douglas Carolo mi ha minacciato dopo averlo visto col coltello nel collo di Andrea»

Il ventunenne accusato dell’omicidio dell’amico, avvenuto lo scorso 27 gennaio, affida la sua verità ad una lettera inviata a La Vita in Diretta

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«Sono Michele Caglioni Marangon. Sicuramente mi conoscete tutti per l’omicidio di Andrea Bossi, ma ora vi voglio raccontare com’è andata quella sera e il mese dopo». Il ventunenne accusato assieme a Douglas Carolo dell’omicidio dell’amico Andrea Bossi, avvenuto lo scorso 27 gennaio a Cairate (Varese), affida la sua verità ad una lettera inviata a La Vita in Diretta, il programma condotto da Alberto Matano su Rai1. 

«Quella sera, come altre - scrive Caglioni Maragon - Douglas mi chiese un passaggio in monopattino. Arrivati a destinazione Douglas sale, da come sapevo io a casa di amici, e l’avrei dovuto aspettare fuori un’oretta per poi riaccompagnarlo. A un certo punto mi chiamò e mi disse di salire ma di non aprire la porta. Io salii e trovai la porta socchiusa, così aprii quella maledetta porta e davanti a me trovai Andrea in una pozza di sangue con Douglas sopra che gli teneva il coltello infilzato sulla gola. In quell’istante mi paralizzai istantaneamente. Lui non esitò ad alzarsi e a chiudere la porta. Pochi attimi dopo suonarono alla porta io mi ripresi un secondo dallo stato di shock, non ho avuto il tempo di reagire che Douglas estrae il coltello dal collo di Andrea, mi tappa la bocca e mi tiene il coltello alla gola per non poter chiedere aiuto. Poi ha iniziato a togliere tutto l’oro che Andrea aveva addosso. Dopodiché mi trascinò in giro per la casa nel tentativo di far sparire tutte le prove che potessero ricondurlo ad Andrea».

E proprio l’arma del delitto potrebbe ora scagionare Michele: «Io non ricordo esattamente dove ha buttato il coltello ma dovrebbe essere in un tombino nella zona del maglificio, a Cairate.

E qui chiedo l’aiuto di tutti: quel coltello è la prova della mia innocenza, aiutatemi a trovarlo, vi prego», implora il ragazzo.

«Poco dopo quella sera mi obbligò a fare un prelievo al bancomat, sempre sotto minaccia – continua – e i giorni successivi non avevo più una vita. Passavo e passo le mie notti tra incubi e attacchi di panico e in più lui non mi mollava un secondo. Minacce su minacce. Quando arrivai sul punto di crollare lui lo capì, così andò a casa dei miei genitori e distrusse il vetro del furgone di mio padre. Era solo un avvertimento. Pochi giorni dopo fummo arrestati e adesso mi trovo in carcere per un omicidio non commesso. Sono contento che ci abbiano arrestato quella mattina, così finalmente potevo dire tutto. Perché non sarei riuscito a vivere ancora a lungo tenendomi tutto dentro. Ora sono qui in carcere a Busto Arsizio, so che i miei cari mi sono vicini e mi stanno dando le forze per combattere per la mia vita. Prima o poi finirò le mie forze. Andrea non meritava di morire, e di sicuro non così. Nessuno ha il diritto di strappare la vita a un altro essere umano, non è giusto».


Ultimo aggiornamento: Giovedì 4 Aprile 2024, 21:18
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