Se accetti "tutti i cookie", compresi quelli di profilazione, oltre a sostenere la nostra offerta gratuita, riceverai annunci pubblicitari in linea con i tuoi interessi.
Se invece accetti solo i cookie "strettamente necessari" riceverai pubblicità generalista di cui non sarà possibile limitare il numero e la ripetizione.
Condannato il giovane somalo che dirigeva il campo profughi in Libia: responsabile di omicidi, stupri e violenze
2
di Angela Calzoni
Torture e stupri su decine di persone sequestrate nel campo di Bani Whalid, 150 chilometri sud-est di Tripoli, in Libia. Migranti legati e picchiati a morte se le loro famiglie non pagavano settemila dollari per permettere loro di proseguire il viaggio verso l’Europa. Violenze di ogni tipo, abusi, torture, come sacchetti di plastica fatti sciogliere lentamente sulla schiena dei profughi.
È stato condannato all’ergastolo Osman Matammud, 23 anni, somalo, arrestato un anno fa dopo essere stato riconosciuto da un gruppo di rifugiati nel centro di via Sammartini: «È lui». Per le 17 vittime che hanno raccontato la loro storia agli inquirenti, il 23enne era a capo del campo abusivo e lo gestiva come un vero e proprio lager. Il pm Marcello Tatangelo nella sua requisitoria lo aveva definito «un sadico, uno che si diverte a torturare e a uccidere». Il procuratore aggiunto Ilda Boccassini, che aveva raccolto lo sfogo di alcune giovanissime, ha detto che nella sua carriera non aveva «mai visto un orrore simile».
Oltre al carcere a vita, i giudici della Corte d’Assise hanno inflitto al somalo anche l’isolamento diurno per tre anni. Il 23enne è rimasto impassibile alla lettura della sentenza, mentre il suo avvocato, Gianni Carlo Rossi, ha annunciato il ricorso in appello, ribadendo che «è innocente». Il legale in aula aveva spiegato che Matammud è «un migrante come gli altri», a sua volta vittima di violenze e pestaggi, e che era arrivato in Italia su un barcone per raggiungere la famiglia in Germania.
Profilo Interessi e notifiche Newsletter Utilità Contattaci
Logout