Ilaria Alpi, «nuovi elementi per arrivare alla verità»: dalla foto e i documenti spariti alle testimonianze cancellate, cosa è emerso

La giornalista Ilaria Alpi e il cameraman Miran Hrovatin furono uccisi il 20 marzo del '94 a Mogadiscio, in Somalia: il caso è ancora aperto

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di Redazione web

Tre decadi, trenta lunghi anni, ma la verità sembra ancora lontana - forse. Le indagini sono proseguite, ma la morte di Ilari Alpi e di Miran Hrovatin resta un giallo. Ilaria Alpi era giornalista e fotoreporter con la lettera maiuscola così come il suo cineoperatore Miran Hrovatin. C'è un'unica e triste certezza che accomuna entrambi: sono stati assassinati a Mogadiscio, in Somalia. La donna lavorava lì come inviata per il TG3 , non faceva altro che fare quello che era il suo mestiere: raccontare la verità. 

«Non mi sembra possibile che siano passati già così tanti anni», racconta Ian Hrovatin, figlio di Miran, all'ANSA. Di quel 20 marzo 1994 ricorda pochissimo, aveva solo 8 anni. Attraverso la stampa e i familiari più stretti, il ricordo di Ilaria e Miran sopravvive al tempo. In occasione del trentennale, il presidente Mattarella ha ricordato i due inviati della Rai come modelli da sguire. «Erano giornalisti di valore alla ricerca in Somalia di verifiche e riscontri su una pista che avrebbe potuto portare a svelare traffici ignobili», ha dichiarato il Capo di Stato. 

Quella maledetta domenica

È domenica 20 marzo 1994, esattamente 30 anni fa, quando Ilaria Alpi viene uccisa a Mogadiscio insieme con il suo operatore Miran Hrovatin: inviati dal Tg3 per documentare la guerra civile somala, vengono freddati nella zona nord della città mentre lavorano a un'inchiesta sui traffici illeciti di armi e rifiuti tossici tra la Somalia e l'Italia. 

Alpi e Hrovatin si trovavano in Somalia per seguire la missione «Restore Hope» che vedeva impegnati dei militari italiani. Il 20 marzo 1994, poco dopo le 14.30, la Toyota con a bordo la giornalista e l’operatore attraversa la capitale somala diretta all’hotel Amana. I due avevano appena incontrato il sultano del Bosaso ed erano venuti a conoscenza di fatti e attività connessi a traffici illeciti di armi e rifiuti.

A poca distanza dall’albergo, una Land Rover si ferma e ne escono fuori diverse persone armate, sembra fossero almeno 7, che fanno fuoco contro Alpi e Hrovatin. Un proiettile di kalashnikov colpisce alla tempia la giornalista, una raffica raggiunge Hrovatin.  

Il ruolo di Hashi Omar Hassan

Si ritorna a Roma, dopo l’omicidio, e parte l'inchiesta. Viene disposto un esame medico esterno sul corpo di Ilaria Alpi. Emerge che la donna è stata colpita a bruciapelo alla nuca. Il fascicolo viene affidato al sostituto procuratore Giuseppe Pititto che verifica che sul cadavere è stato eseguito solo un esame esterno e non un’autopsia.

La perizia balistica del 1996 attesta che il colpo che ha ucciso Ilaria Alpi è stato sparato a distanza, probabilmente con un Kalashnikov. A gennaio 1998 il somalo Hashi Omar Hassan è nella capitale per testimoniare alla commissione sulle presunte violenze dei soldati italiani in Somalia. L’uomo viene arrestato per concorso in duplice omicidio volontario e indicato come componente del commando.

Il cittadino somalo è accusato da due testimoni: l’autista di Alpi e Hrovatin, Sid Abdi, e il testimone oculare Ali Ahmed Ragi.

Entrambi sostennero che Hashi Omar Hassan fosse uno dei sette uomini del commando che sparò sui due giornalisti italiani.

Hassan fu inizialmente assolto dal tribunale di Roma, che giudicò poco credibili le testimonianze: Ragi per esempio cambiò diverse volte versione e sparì prima di testimoniare in aula, mentre Adbi disse di non aver visto Ragi sul luogo della sparatoria. Inoltre, altri tre cittadini somali testimoniarono a favore di Hassan, sostenendo che fosse in una città a 200 chilometri da Mogadiscio nel giorno dell’agguato.

Nonostante questo, Hassan fu condannato in appello e nel 2000 la sentenza fu confermata dalla Cassazione e fissata a 26 anni. Tra i testimoni, mentre Ragi sparì prima del processo, Abdi rimase in Italia alcuni anni, per poi essere ritrovato morto pochi giorni dopo il suo rientro in Somalia, nel 2003.

Hashi Omar Hassan andò in carcere, finché nel 2015 una troupe della trasmissione della Rai «Chi l’ha visto?» riuscì a intervistare Ragi a Birmingham, in Inghilterra. Raccontò di aver accusato Hashi Omar Hassan in cambio di un visto per lasciare la Somalia, perché «gli italiani volevano chiudere il caso». Il processo fu dunque rivisto e Hassan, che dopo 16 anni di carcere era stato assegnato ai servizi sociali, tornò in libertà nel 2016. Nel 2018 venne risarcito dallo Stato italiano con tre milioni di euro per l’ingiusta detenzione e nel luglio del 2022 fu ucciso a Mogadiscio da una carica di dinamite messa nella sua auto. 

La battaglia per la verità 

Dopo una lunga e controversa vicenda, che ha coinvolto commissioni parlamentari, presunti tentativi di depistaggio, incarcerazioni, assoluzioni e richieste d'archiviazione, «la battaglia per la verità va avanti».

«Abbiamo chiesto e ottenuto la disponibilità a un incontro dal procuratore capo di Roma, Francesco Lo Voi - annuncia Walter Verini, capogruppo del Partito Democratico in commissione Antimafia
- per fornire tutti i tasselli utili, anzi necessari per sostanziare la richiesta di non archiviare la vicenda: ci sono gli elementi per raggiungere la verità e la giustizia. E la coincidenza dell'approvazione, qualche giorno fa, da parte del Parlamento europeo, di un atto che tutela il servizio pubblico e il giornalismo di inchiesta, è un modo per onorare la memoria di Ilaria e di tutti i giornalisti».

Mariangela Graimer, portavoce del cartello Noi non archiviamo, non esita a parlare non esita a parlare di «grande depistaggio» e ricorda la vicenda del «capro espiatorio» Hashi Omar Hassan.

«Siamo in grado di fornire alla procura i pezzi mancanti, se non ci bloccano anche questa volta», dice. «Oltre a quella di Hashi, sono diversi gli omicidi e le morti dubbie che hanno scandito questa vicenda. Hanno tentato di cancellare tutte le possibili testimonianze: l'autista di Ilaria, il capo della polizia somala per fare qualche esempio. E immediatamente dopo l'agguato sono spariti tutti i documenti e le foto».

E ancora: «Nella scrivania di Ilaria abbiamo ritrovato dossier sulla tangentopoli della cooperazione, uno dei quali sulla Somalia. Lei aveva individuato alcuni peccati capitali, traffici illeciti di ogni tipo, in cambio di armi per la guerra civile. Lavorava su questo». 


Ultimo aggiornamento: Sabato 23 Marzo 2024, 18:57
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