Roma, i ravioli cinesi di “Song” alla conquista della Capitale: ripieni di carne di maiale e brodo, sono già un’istituzione

Roma, i ravioli cinesi di “Song” alla conquista della Capitale: ripieni di carne di maiale e brodo, sono già un’istituzione

di Sabrina Quartieri

Si mangia in un sol boccone, lasciandolo prima riposare qualche istante, una volta uscito dalla vaporiera, per farlo raffreddare un po’. Un’attesa che al commensale permette di apprezzare al meglio il piatto, ma anche di ammirarne l’accuratezza dell’esecuzione, con ben 30 pieghe realizzate a mano sul suo involucro di pasta: è lo Xiao Long Bao e racchiude in sé una vera esplosione di sapori. Il suo interno, infatti, è di carne di maiale e di brodo speziato, dove non manca mai lo zenzero. Un mix di gusti vincente, che rende questa portata il “must have” da ordinare da Song, il nuovo ristorante di Prati pronto a conquistare i palati con i dim sum, i ravioli di Hong Kong. Tra questi, il più tipico è proprio lo Xiao Long Bao, approdato in città da soli quattro mesi e diventato grazie al locale già un’istituzione. 

«C’è chi arriva a ordinarne fino a sei porzioni da due ravioli ciascuna, dopo aver provato il nostro menu degustazione, che permette di spaziare tra tantissime tipologie di dim sum a base di carne, pesce e verdure», racconta il giovanissimo maître del ristorante, Francesco Pietro Chiarillo, un romano che, ad appena 22 anni, vanta diverse esperienze formative tra scuola alberghiera e ristoranti come Gallura ai Parioli e Dao restaurant, e onora il suo nuovo incarico «portando un servizio di alto livello come quello che mi hanno insegnato i maestri dell’alta cucina francese, in un ristorante cinese che valorizza la tradizione culinaria», spiega Chiarillo. I dim sum, infatti, hanno almeno mille anni di storia e sono originari di Canton, una metropoli del Sud della Cina non distante da Hong Kong, dove oggi i tradizionali ravioli sono diventati di tendenza.

«Ma un tempo, prima di entrare nei ristoranti, venivano fatti a mano in casa per essere consumati in famiglia e si riempivano di volta in volta in maniera diversa, a seconda di quello che si aveva a disposizione. Se ne nutrivano anche i contadini delle aree rurali, perché erano sostanziosi», racconta chef Chu Ling Sang, con 40 anni di esperienza alle spalle in cucina, anch’egli originario di Hong Kong ma con un passato pluridecennale a Milano, dopo una breve parentesi a Parigi. È lui a dedicare le sue giornate da Song a comporre artigianalmente i dim sum, proponendo dello Xiao Long Bao, la migliore versione, quella premiata e appresa quando lavorava a Milano da Mu dimsum con lo chef concittadino Kin Cheung (che attualmente è all’Element di Firenze, dove fa cibo cantonese fusion, affiancato dal figlio di Chu Ling Sang, Leo).

Da Song non mancano: il Five sense, ripieno di verdure e dal sapore delicato, ideale come starter; i ravioli di pesce, dall’Astice matcha al Capesanta mood, fino al Green sea con branzino; e ancora, il Mountain flower con funghi di bosco, compreso il pregiato Imperiale della Cina, e tartufo; poi il Sichuan, non al vapore ma bollito, con carne di maiale, salsa Sichuan e arachidi; oppure il Ragout d’anatra, con cinque spezie e sopra del porro fritto. Da Song, sempre aperto a pranzo e a cena tranne il lunedì, sono ben 22 i tipi di dim sum da assaggiare, realizzati in cinque differenti forme e tutti serviti in mono porzioni e non stipati nelle ciotole di bambù, come vorrebbe la tradizione. L’autenticità a tavola, invece, si ritrova abbinando alla degustazione dei ravioli il rituale del tè, con tanto di preparazione a vista da parte del maître che, inscenando un piccolo show, prepara fumanti tazze di Hojicha, rigorosamente “made in Japan”, usando un filtro di pietra contenuto in un affascinante oggetto che ricorda un alambicco.

Ma Song è anche il ristorante dove assaggiare altre portate come i Noodles all’astice e l’Anatra alla pechinese, preparata con oltre 30 ore di lavorazione e servita con crespelle sottili, salsa Peking Duck e verdure croccanti.

Piatti che, di questi tempi, con la difficoltà di andare più a est del Vicino Oriente, permettono di continuare a viaggiare almeno con i colori e i sapori di cucine lontane, pur restando in città. Nel nuovo ristorante di via Valadier, a restituire l’atmosfera della Cina più tradizionale, seppur con un tocco moderno voluto dai titolari, le famiglie Wu e Okazaki, già socie dei locali Okasan, Otosan e Hiromi cake, sono gli arredi tipici orientali, tra tessuti color grigio fumé e rame, e le sedute a forma di poltroncina in legno scuro. Guardandosi intorno mentre si sta a tavola, a traghettare idealmente fino al lontano Oriente sono le raffinate sculture racchiuse in delle nicchie, dove primeggiano in bella mostra cavalli, carri, angeli e pagode, oltre a un bassorilievo che raffigura un inno all’abbondanza e alla buona sorte: al centro della parete è il dio cinese della prosperità a lasciarsi ammirare, mentre tutt’intorno dei misteriosi ideogrammi ricordano che «la fortuna è grande, come il mare». Un messaggio incoraggiante, che fa bene all’anima, allo stesso modo dei dim sum. I ravioli sono capaci di «toccare il cuore», come ricorda il significato del loro nome. 


Ultimo aggiornamento: Mercoledì 22 Settembre 2021, 23:39
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