Morto Muhammed Alì, è stato verbo fatto persona - Il ricordo

Morto Muhammed Alì, è stato verbo fatto persona - Il ricordo

di Alvaro Moretti
Sentirete parlare di icona: ma Muhammed Alì e il Cassius Clay che ha vissuto per sempre dentro di lui sono stati di più di un'immagine dirompente. Il ragazzo da Louisville, Kentucky, America profondissima e rurale, è stato verbo fatto persona. Ha accettato stimmate e le ha mostrate sempre al mondo come esempio, con ironia e intelligenza che non dovevano essere contenute dentro lo splendido corpo di un pugile bellissimo. Secondo il mondo, per decenni, Alì non doveva essere più brillante degli anchorman delle esplosive tv americane; non doveva avere la forza del leader più dei leader politici (giganteschi: Kennedy, Nixon, Ho Chi Min, Malcom X, Martin Luther King) e religiosi dell'epoca; non doveva portare messaggi "culturali" più alti della beat generation o di Hair. Eppure lo ha fatto. Combattendo coi pugni, senza la cintura di campione del mondo vinta sul ring (dove spesso, l' altro, picchiava più forte, ma con meno cervello e gambe) o con. Ha accettato come un Calvario giusto i cazzotti di Frazier, Mandingo Norton, di Foreman, mascelle fracassate e costole rotte, dopo aver rotto loro - prima che le difese e le stesse ossa - ogni certezza intellettuale, dominando mentalmente il gioco della boxe. Poi, Alì, bellissimo ma ormai flaccido ha cercato l'angolo contro i suoi sparring (Holmes), prendendo botte persino da Leon Spinks.
Ma è l'unico che si è rialzato e preso la cintura di Re dei Massimi tre volte in una vita sola. Ha fatto scoprire la nuova Africa al mondo e se non vi guardate i filmati (a partire da quello di Gianni Minà) su Rumble in the Jungle e il mat h del secolo con Foreman a Kinshasa vi perdete tantissimo. Troverete ovunque, ora, le frasi di Alì, le sue scenette, i suoi ceselli sul ring, ma vi consiglio la sua pagina Facebook aggiornata fino a queste ultime ore. C'è la testimonianza, anche, dell'ultimo sudario indossato per 30 anni: il Parkinson che alla fine se l'è portato via a 74 anni, davvero troppo pochi per un Cristo così. Lui ha esposto la malattia al mondo - Olimpiadi di Atlanta - tenendo la torcia olimpica in mano per chiudere un cerchio (uno dei cinque gli andrebbe intitolato) preso come anello di fidanzamento indossato a Roma 1960, medaglia d'oro per lui Cassio nella città dei Cesari (scrisse una poesia d'amore per questa città che lo adottò). La malattia voleva mangiarsi quello per cui Cassius Alì divenne il Re: un cervello e un'anima grandissimi e santi. Lo consegna all'empireo dei Giusti per sempre, invece. Il 4 giugno per me è e resterà il giorno di Alì santo laico e maestro di vita. Alì Bumayè, Alì Bumayè.

Ultimo aggiornamento: Sabato 4 Giugno 2016, 11:09
© RIPRODUZIONE RISERVATA