Morto Muhammed Alì, è stato verbo fatto persona - Il ricordo
di Alvaro Moretti
Sentirete parlare di icona: ma Muhammed Alì e il Cassius Clay che ha vissuto per sempre dentro di lui sono stati di più di un'immagine dirompente. Il ragazzo da Louisville, Kentucky, America profondissima e rurale, è stato verbo fatto persona. Ha accettato stimmate e le ha mostrate sempre al mondo come esempio, con ironia e intelligenza che non dovevano essere contenute dentro lo splendido corpo di un pugile bellissimo. Secondo il mondo, per decenni, Alì non doveva essere più brillante degli anchorman delle esplosive tv americane; non doveva avere la forza del leader più dei leader politici (giganteschi: Kennedy, Nixon, Ho Chi Min, Malcom X, Martin Luther King) e religiosi dell'epoca; non doveva portare messaggi "culturali" più alti della beat generation o di Hair. Eppure lo ha fatto. Combattendo coi pugni, senza la cintura di campione del mondo vinta sul ring (dove spesso, l' altro, picchiava più forte, ma con meno cervello e gambe) o con. Ha accettato come un Calvario giusto i cazzotti di Frazier, Mandingo Norton, di Foreman, mascelle fracassate e costole rotte, dopo aver rotto loro - prima che le difese e le stesse ossa - ogni certezza intellettuale, dominando mentalmente il gioco della boxe. Poi, Alì, bellissimo ma ormai flaccido ha cercato l'angolo contro i suoi sparring (Holmes), prendendo botte persino da Leon Spinks.