Silvio Orlando, in scena al Quirino, racconta la solitudine: «Oggi ci sembra che il mondo possa fare a meno di noi»

Silvio Orlando, in scena al Quirino, racconta la solitudine: «Oggi ci sembra che il mondo possa fare a meno di noi»

di Emiliana Costa
È stato il volto del cinema d’autore engagé (da Palombella rossa di Nanni Moretti a Il portaborse di Daniele Lucchetti), ha interpretato oltre quaranta pellicole, collezionando una ricca serie di riconoscimenti (tra cui 2 David di Donatello, 2 Nastri d'argento e una Coppa Volpi). Per i millenial, è il cardinale Angelo Voiello, dalla fortunata serie sorrentiniana The New Pope. Ma per Silvio Orlando, 62 anni, attore di lungo corso, «la casa resta il teatro». L’artista sarà in scena da stasera, 21 gennaio, a domenica 2 febbraio al Quirino di Roma con Si nota all’imbrunire. Solitudine da paese spopolato, un pièce, scritta e diretta da Lucia Calamaro, che racconta la solitudine dei nostri giorni.
 
Di cosa parla lo spettacolo?
Il mio personaggio, Silvio, è un uomo che rinuncia al mondo e si ritira in un paese spopolato. Noi mettiamo in scena il momento in cui i familiari tentano di riportarlo alla vita, indagando il tema della “solitudine sociale”.

Di cosa si tratta?
È uno stato depressivo a causa del quale le persone fanno fatica ad affrontare le sfide del mondo. Ma stando soli, il cervello umano si guasta, si sviluppano paranoie e ossessioni. E diventa difficile il rapporto con gli altri.
 
Perché oggi il problema della solitudine è così dilagante, addirittura con un ministero dedicato in Inghilterra?
Abbiamo la sensazione che il mondo possa fare a meno di noi. Prima c’era la famiglia che ci dava un senso di appartenenza. Oggi viviamo in un contesto sociale competitivo, violento e poco accogliente.
 
Qual è l’obiettivo della pièce?
Noi raccontiamo una storia, testimoniamo l’epoca che viviamo. Ma spero che alla fine dello spettacolo, lo spettatore possa fare i conti con le proprie paure o si ricordi di chiamare quel familiare o quel conoscente che si è isolato ed è sparito dai radar.
 
Lei è in onda su Sky con The New Pope. Com’è essere diretti da Paolo Sorrentino?
Una sfida impegnativa, non è un regista qualsiasi. È un autore, un costruttore di mondi. Per lavorare con lui bisogna rompere gli automatismi e lanciarsi senza punti di riferimento. Ma è un’opportunità unica.
 
Com’è stato recitare in inglese?
Mi ha costretto a studiare tantissimo e ti senti ancora di più sotto osservazione. Ma il mio è un personaggio italiano, non mi sono rifatto a modelli astratti e ho costruito il mio inglese.
 
Negli ultimi anni si è diviso fra tournée teatrali e una grande produzione internazionale. Quali sono le differenze?
Il teatro è casa mia. Lì sono ospite, sei dentro una macchina infernale, quasi disumana. Complicato starci dentro.
 
Quale dei suoi film le è rimasto nel cuore?
La scuola di Lucchetti perché è quello per cui sono più conosciuto ed è diventato patrimonio popolare. Poi il progetto iniziale di farlo a teatro fu il mio.
 
Ha iniziato la sua carriera artistica come flautista, suona ancora?
No, per fortuna della musica (ride). Però il prossimo personaggio che interpreterò al cinema sarà un pianista. Mi ricongiungo con la mia anima musicale.
Ultimo aggiornamento: Martedì 21 Gennaio 2020, 10:43
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