LE TA ME o l’arte di rinascere dal buio, parla il regista Nicholas Gallo: “Dobbiamo abituarci allo schifo”

Dopo il debutto romano del suo nuovo spettacolo dal titolo coraggioso, il giovane artista si prepara per una tournée dal Nord al Sud Italia

LE TA ME o l’arte di rinascere dal buio, parla il regista Nicholas Gallo: “Dobbiamo abituarci allo schifo”

di Stefano Maria Pantano

«Quest’estate, appena ho sentito di probabili nuove chiusure, ho avuto il timore che l’incubo non finisse più e stessimo per tornare all’inizio del 2020». Così, l’attore e regista Nicholas Gallo, classe ’85 e figlio d’arte, racconta la nascita della sua ultima pièce, con cui ha debuttato il 25 e 26 novembre al Teatro Porta Portese di Roma. Il titolo, sfacciato e intimo allo stesso tempo, lascia pochi dubbi. LE TA ME.

Protagonisti, gli attori Fabio Camassa e Demian Aprea, nei panni di due giovani qualunque che emergono dalle atmosfere rarefatte e stranianti di una stanza qualunque, in una casa qualunque, nei giorni del lockdown. Anime disperse e senza punti di riferimento, vagheggiano e vaneggiano su cosa resti di autentico in un mondo che ha scelto di sopravvivere invece di vivere, in nome della mera tutela della nuda vita. Gallo mette in scena una fotografia artistica e volutamente grottesca di un momento storico, che rischia di trascinarsi dietro il nostro presente e il nostro futuro. «Il lockdown ora non c’è, ma è come se ci fosse -spiega il regista-.

Purtroppo ci stiamo abituando a una nuova realtà sempre meno a misura d’uomo.

Mi interessa mettere in luce queste dinamiche umane, senza voler entrare nel dibattito politico». Non a caso, anche il lutto e la perdita delle persone care, che ha colpito moltissimi di noi, compreso lo stesso Nicholas Gallo, investe i personaggi a mezzo di robotici bollettini di guerra, per i quali una madre scomparsa viene spietatamente accodata a una fila di caduti senza volto. In uno scenario in cui relazioni e affetti si sfaldano sotto una cappa di paura,

LE TA ME mostra il progressivo isolamento dell’individuo in sé stesso, fino al crollo psicologico, attraverso una regia audace. «La mia prospettiva è quella di dovermi abituare insieme allo spettatore allo schifo -chiosa ancora Gallo-. La disumanizzazione generale a cui assistiamo -conclude-, arriva ad accarezzarci la pelle».

Al finale dello spettacolo, totalmente fuori da qualunque ordine di convenzioni, fa da tramite l’elemento musicale, nella sua universalità così vicina alla sfera delle emozioni, affidato alla chitarra di Federico Lisi. Restano sullo sfondo i brandelli di affetti privati, in chiave discreta e garbata, e il loro disperato tentativo di resistere nel chiuso delle case, le cui finestre continuano a spiare la vita come grandi occhi sul mondo.


Ultimo aggiornamento: Lunedì 6 Dicembre 2021, 17:03
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