Marlene Kuntz, trent'anni di storia: «Siamo carichi. Era folle fare i musicisti rock all'epoca. I Maneskin? Spaccano eccome»

Tour e ristampa per celebrare i 30 anni di Catartica, album celebre pubblicato nel 1994. «Sarà un concerto potente. Dedicheremo a Luca Bergia tutti i nostri live. Lui è sempre con noi»

Marlene Kuntz, trent'anni di storia: «Siamo carichi. Era folle fare i musicisti rock all'epoca. I Maneskin? Spaccano eccome»

di Rita Vecchio

Sono passati trent’anni da quando i Marlene Kuntz pubblicavano "Catartica", l’album che li avrebbe fatti emergere dagli esordi delle cantine e che avrebbe segnato una linea risoluta nel rock italiano. Lo festeggiano con una ristampa che esce venerdì e con un tour nei club, quasi tutto sold out. Di nicchia erano allora, «fuori dai trend» come dicono sia Cristiano Godano che Riccardo Tesio, chitarrista e fondatore insieme a Luca Bergia (scomparso l’anno scorso e a cui dedicano tutti i live) della band new wave, rock, house. E di nicchia sono oggi. Un pregio in tempi in cui la musica è talmente omologata da sembrare tutta uguale. 

Tornando al 1994, vi sareste immaginati che avrebbe cambiato la vostra vita? 

C.G.: «Lo speravamo. Desideravamo che Catartica ci facesse realizzare il sogno perché sapevamo che stavamo facendo qualcosa di figo nel contesto italiano. E alla fine è diventato un disco seminale, come si dice in gergo. Sono consapevole di quanto fosse folle fare rock in Italia. Oggi provo orgoglio. Riuscire a suonare come i nostri maestri, non pagare pegno e non uscire con le ossa spezzate nel confronto con i nostri padri, non era cosa facile». 

R.T.: «Riascoltando le registrazioni dell'epoca, eravamo bravi (ride, ndr). Ricordo la contentezza a chiusura lavoro. Avevamo dato il massimo, il suono era come lo volevamo, sincero e libero, ci rispecchiava intellettualmente». 

Quando avete capito che il sogno si era davvero realizzato? 

C. G.: «Lentamente. Divenne influente a poco a poco, lasciando una impronta. Le band successive cominciarono a raccogliere il messaggio artistico e il sound che si nascondeva nelle tracce. Ricordarlo ci fa venire ancora di più la voglia di suonare. E se il claim del nostro tour che parte tra qualche giorno recita "Complimenti per la festa! Una festa del cazzo”, vi assicuriamo che non sarà per nulla una festa del cazzo. Siamo carichi. Sarà un concerto potente». 

Marlene Kuntz - Cover Catartica

Nella prima traccia,“M.K.”, rimproverate l’”intellighenzia”. Perché? 

C. G. «Avevamo rabbia perché nonostante il grande lavoro non riuscivamo a farci notare. Non capivamo la strana indifferenza della conventicola di giornalisti di allora, pensavamo ci stessero snobbando. E l'abbiamo tradotta in musica. Il nostro cruccio era riuscire a non pagare pegno rispetto ai nostri maestri e a tenere loro testa. Sentivamo di avere concretezza e densità artistica. E per nostra stessa ammissione, venivamo un po' dal suono noise dei newyorkesi e dei Sonic Youth». 

R.T.: «Alla fine siamo diventati un esempio da seguire, mantenendo il pudore alla Marlene: non fare cose scontate. Ciò ha creato curiosità delle etichette indipendenti, ottenendo il consenso di pubblico e della stessa stampa.

I  CSI fecero una  versione acustica di “Lieve”». 

Rabbia e rock: non è più oggi un binomio?  

R.T. «La musica si muove in ambito sociale e culturale diversi da quelli in cui abbiamo sguazzato noi. Erano gli anni del grunge e di Nevermind dei Nirvana. La tecnologia ha modificato gli assetti, la musica più remunerata è il mainstream e c’è troppo appiattimento. Più che rabbia, oggi manca la reazione dei giovani. Di temi sentiti, dalla crisi climatica alla guerra, ce ne sono. Ma c'è disillusione, frustrazione, pessimismo».  

C.G.: «Ma il rock non è l’unica musica. E’ una delle tante. Che i Maneskin siano riusciti nella loro impresa, è un dato di fatto. Sanno suonare, sono un esempio positivo e spaccano. Eccome se spaccano!».

L’appiattimento musicale dei tempi moderni di cui parlavate riguarda anche il politicamente corretto? Insomma, “La divina” (Cenere), Gioia (che mi do), Donna L, le avreste scritte?

C.G.: «Ma non so quanto oggi influisca il politicamente corretto. Credo che uno dei problemi veri della nuova generazione è il non leggere libri. Mutatis mutandis: se si affossa il Godano di allora non ci sarebbe stato nulla. Ma tante cose non ci sarebbero state. Raffaella Carrà che cantava nel ritornello “Come è bello far l’amore da Trieste in giù” sarebbe stata massacrata». 

Marlene Kuntz (ph credit Simone Cargnoni)

Anche Sanremo rientra nel mood di omologazione e appiattimento?

R.T.: «Speriamo proprio di no. Sanremo è diventato il Festival che puoi decidere di snobbare, ma che non puoi fare finta che non ci sia. I tempi sono cambiati, c’è bisogno di Sanremo». 

C.G.: «Anche noi avevamo mandato dei brani, prima di Karma Clima. Eravamo trai i 400 che ci hanno provato. E’ stato un peccato». 

Lo "Stivale arranca", cantavate. Oggi si arranca ancora?

C.G. «Si arranca ancora di più. Nel mio immaginario di quei tempi, era un frase connessa alla faccenda culturale». 

R.T.: «In quegli anni c’era la sensazione di potere incidere con un’idea musicale. Per noi ha funzionato. Oggi per i giovani è più difficile. C’è omologazione o frustrazione. Non esiste via di mezzo». 

Marlene Kuntz - Calendario Catartica Tour 2024

 


Ultimo aggiornamento: Martedì 5 Marzo 2024, 10:42
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