Luca Madonia: «Le mie auto-cover piene di calma, contro l'isteria collettiva»

Il ritorno del cantautore ex-Denovo con un nuovo disco

Luca Madonia: «Le mie auto-cover piene di calma, contro l'isteria collettiva»

di Claudio Fabretti

 «Volevo festeggiare 40 anni di carriera ripescando le mie canzoni che amo di più. Così mi sono auto-coverizzato». Parola di Luca Madonia, dieci anni nei Denovo, capofila della new wave italiana, trenta da raffinato cantautore solista. Il “regalo” si chiama “Stiamo tutti ben calmi” ed è una raccolta di 11 suoi brani storici più tre inediti.


Un titolo che è un’esortazione, ma che svela anche l’approccio scelto per rileggere i brani...
«Esatto. Abbiamo scelto un approccio più calmo, cerebrale, vivendo in un’epoca di isteria collettiva emersa soprattutto dopo questi due anni di pandemia. Questo album è un invito a vivere il presente con la dovuta calma».
E musicalmente in cosa si riflette?
«Nella scelta di procedere per sottrazione. Ho puntato su voce e melodia, asciugando gli arrangiamenti, curiosamente ho anticipato l’operazione simile compiuta dagli U2 in “Songs Of Surrender”».
Crede quindi alla canzone come oggetto in movimento?
«Certo. Sono gli arrangiamenti che invecchiano e possono risultare datati, ma la melodia e le idee di fondo restano e possono evolversi e mutare nel tempo».
Adotterà questo approccio anche nei live?
«Sì, punterò su set piuttosto scarni: due chitarre, voce, basso elettrico. Del resto, anche l’essenzialità può risultare incisiva: penso a “Eleanor Rigby” dei Beatles, con quegli archi taglienti impostati da George Martin (il produttore dei Fab Four, ndr).
Sempre attuali restano sicuramente i suoi testi. Penso a “Non ti mettere in nero” dei Denovo e ai versi: “Un giorno forse si vedrà/ Più in là del nostro naso...”. Perché è diventato così difficile vedere oltre il nostro naso?
«Perché viviamo gli anni dell’individualismo esasperato, siamo tutti isterici e non ce ne frega nulla degli altri. Ma non solo degli immigrati: anche dei vicini di casa. È cambiata la società: noi abbiamo vissuto un sogno collettivo, anche con tanta ingenuità. Ma si sbagliava insieme. Oggi non si vede mai al di là del proprio naso».
Che band sono stati i Denovo?
«Avevamo 20 anni e tanta energia. Facevamo tour infiniti, anche con 50 date in estate. Si suonava tanto e ci si confrontava con altre band. Una volta siamo andati a suonare a Barcellona in pullman da Catania. Abbiamo fatto tappa a Napoli, in Toscana, raccogliendo altri gruppi e amici, come gli Avion Travel e i Litfiba».
Era la new wave italiana.
«Eravamo tutti appassionati di quei suoni che venivano da Usa e Uk, nel nostro caso anche di Beatles, Xtc, Talking Heads. E univamo la nostra indole più calda e mediterranea»
E la scena di Catania era una gran bella realtà, da Carmen Consoli a Cesare Basile e agli Uzeda.
«Era diventata la Seattle del Sud. Un periodo di grande creatività in una città che è sempre stata culturalmente attiva».
Con un grande maestro su tutti: Franco Battiato. Che ricordo ha di lui?
«È stato un dono averlo conosciuto,.

Una persona buona, ironica, piena di risorse. Uno studioso e un vero mistico, ma sempre umano e disponibile con tutti. Quei viaggi, quelle serate e quelle chiacchierate con lui resteranno sempre dentro di me. Lo portai anche a Sanremo nel 2011 con L’Alieno. Si divertì moltissimo, mi disse che sarebbe stato il mio corista. Ma era lui il vero alieno».


Ultimo aggiornamento: Lunedì 27 Marzo 2023, 08:01
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