Bradley Cooper è Bernstein: «3 anni a vedere concerti per capire i suoi movimenti»

Il regista: «Mi ritiro 2 settimane con chi condivide con me i film»

Bradley Cooper è Bernstein: «3 anni a vedere concerti per capire i suoi movimenti»

di Alessandra De Tommasi
Dopo il debutto come regista in “A star is born” con Lady Gaga, Bradley Cooper torna davanti e dietro la macchina da presa con un altro progetto musicale, “Maestro” (ora su Netflix, dopo la premiere a Venezia). Il film si focalizza principalmente sul rapporto tra il primo direttore d’orchestra americano Leonard Bernstein e la moglie Felicia, interpretata da Carey Mulligan (protagonista di un altro film tra quelli più apprezzati nella stagione, “Saltburn”, su Prime). Prodotto da Steven Spielberg, non è un biopic classico perché si basa sul memoir “The Maestro”, scritto proprio dalla consorte, che non fa segreto dell’omosessualità del marito. In un incontro con la stampa estera Cooper svela i retroscena di questo progetto mastodontico.

Da dove nasce l’idea del film?

«Da Tom e Jerry: quando ero bambino m’incantava vedere le loro zampette vorticare in aria e creare qualsiasi cosa la loro fantasia pensasse. Erano come dei direttori d’orchestra e ho mandato per mesi a Spielberg messaggi sul cellulare che esploravano questo parallelismo. Forse mi ha un po’ odiato».

È al secondo film da regista: è la sua vocazione?

«Quando mi sono trasferito a Los Angeles e ho avuto il mio primo grande lavoro, la serie tv “Alias” con Jennifer Garner, io non lasciavo mai il set. Mi piaceva guardare il lavoro del regista J.J. Abrams. Da quel momento l’ho fatto per ogni progetto. È diventata un’abitudine che non mollo mai».

Ne ha un’altra?

«Sì, il ritiro di due settimane da solo con chi condivide con me il film da protagonista.

Me l’hanno insegnato alla scuola di cinema, è un esercizio per creare un legame solido. L’ho fatto tante volte, tra cui quella con Stefani (Lady Gaga). Ogni mattina ti svegli e racconti all’altro i tuoi sogni nei dettagli, come se fossi sul palcoscenico con un unico spettatore. Siccome ti rendi vulnerabile e condividi le tue fragilità, si crea un legame viscerale reciproco di fiducia e onestà».

Oltre alle ore al trucco, come si è preparato al ruolo?

«Per tre anni e mezzo quasi tutte le sere dopo aver messo a dormire mia figlia, andavo alla Filarmonica a vedere da dietro le quinte prima le prove e poi gli spettacoli per capire i movimenti del direttore d’orchestra. Nel film non ho controfigure, eseguo i movimenti, ma per arrivarci ho impiegato molto studio».

Qual è la scena più forte emotivamente che ha girato?

«Il litigio tra Leonard e la moglie. È ripresa da lontano perché ricordo bene quando i miei genitori s’infuriavano l’uno con l’altro e io e mia sorella ci mettevamo ad assistere a distanza di sicurezza. Ecco, vorrei che il pubblico si sentisse coinvolto allo stesso modo».

Il film parla d’arte. Qual è il suo potere più grande?

«La capacità di lenire i dolori quando li vediamo rappresentati in archetipi, in storie più grandi di noi, e c’immedesimiamo».


Ultimo aggiornamento: Giovedì 21 Dicembre 2023, 10:04
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