Clint Eastwood, i 90 anni a muso duro dell'ultimo eroe di Hollywood
di Michela Greco
Da attore con scarsa espressività (aveva due sole varianti, «con cappello e senza cappello», come diceva Leone), nel 1971 Eastwood si trasformò in regista con Brivido nella notte, con la sua società di produzione Malpaso: l’inizio di un percorso densissimo dietro la macchina da presa, una cavalcata che lo ha visto toccare punte altissime: Mystic River (2003), due Oscar vinti, stavolta dagli attori Sean Penn e Tim Robbins, Gran Torino (2008), ritratto di un anziano che ha finito per fare dell’intolleranza la sua bandiera e Million Dollar Baby (2004), quattro statuette tra cui Miglior Film. Un percorso passato attraverso molti generi, seguendo imperturbabile la sua strada poetica, con rigore, indifferente alle mode e alle convenienze del momento. Clint ha diretto film sportivi, come lo stesso Million Dollar baby e Invictus (2009) e film musicali come Jersey Boys (2014), thriller come Changeling, con Angelina Jolie (2008) e un dramma sentimentale come I ponti di Madison County (1995) con il quale, con la complicità di Meryl Streep, ha fatto piangere fiumi di spettatori.
In questi ultimi anni, al centro della sua epica ha messo spessisimo degli eroi per caso. Le biografie eccezionali di uomini normali, come il cecchino Chris Kyle/Bradley Cooper di American Sniper, o come Sullenberger/Tom Hanks di Sully, il pilota che con un incredibile ammaraggio di emergenza nel fiume Hudson salvò la vita dei suoi passeggeri ma poi venne accusato di aver violato il protocollo. Eroi incompresi, vittime di pregiudizi e del sistema, come anche Richard Jewell/Paul Walter Hauser, protagonista del suo ultimo film. Un outsider condannato dal suo aspetto e dalla sua stessa emarginazione a diventare il primo sospettato di un attentato – quello alle Olimpiadi di Atlanta nel 1996 – nel corso del quale aveva invece salvato molte vite prendendo molto sul serio il suo lavoro di guardia giurata.
Eastwood è diventato un’icona, al punto che c’è anche chi ha scelto il suo nome come titolo di una canzone (i Gorillaz di Damon Albarn). Di lui si è parlato spesso anche in relazione alle sue posizioni politiche conservatrici, rare a Hollywood, e della sua insofferenza per il politically correct che gli fece dire «Viviamo in una pussy generation, camminano tutti sulle uova».
Ultimo aggiornamento: Domenica 31 Maggio 2020, 14:38
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