Da “Tutti giù per terra”, del 1997, a “Io sono Vera”, in sala dal 17 febbraio, la storia artistica di Anita Caprioli è contrassegnata da tappe che portano i nomi di Gabriele Salvatores, Giovanni Veronesi, Alice Rohrwacher, Paolo Genovese e Carlo Verdone, per cui è stata anche la dolce farmacista della serie pseudo-autobiografica “Vita da Carlo”. «Non so niente della seconda stagione – dice - Quello che so è che Carlo è un grandissimo essere umano, oltre che un grandissimo attore», dice l’attrice, che con il film di Beniamino Catena si è avventurata in un territorio metafisico, esistenziale, sentimentale. Quello di una bambina (Vera) che scompare all’età di 11 anni e ricompare misteriosamente anni dopo.
Cosa l’ha spinta a fare questo salto nell’ignoto?
«Mi incuriosiva molto raccontare una storia che tratta un argomento così grande. L’universo, da dove arriviamo, e la materia di cui siamo fatti attraverso la storia di una famiglia che vive una tragedia. E mi affascinava il rapporto madre-figlia descritto nel film, quel riconoscersi ancestrale, a prescindere da ogni elemento razionale».
C’era bisogno di abbandonarsi, di avere fiducia. Lei ci riesce facilmente?
«Alla fine è la strada più facile, perché è impossibile capire tutto e avere il controllo su tutto.
Ha avuto un’ispirazione, un riferimento nella sua carriera?
«Monica Vitti, che ci ha lasciato da poco, ha accompagnato la mia crescita. È riuscita a incarnare personaggi femminili che si distaccavano dalla femminilità mediterranea raccontata in quel periodo. Ha delineato personaggi bellissimi con fragilità incredibili, ma insieme con una gran forza».
Lei vive a Roma, quali sono i suoi posti preferiti?
«Senza dubbio i parchi, bacini verdi stupendi in cui non ti sembra nemmeno di stare in città. Adoro Villa Pamphilij, ad esempio, con i suoi squarci di natura selvaggia».
Ultimo aggiornamento: Giovedì 24 Febbraio 2022, 09:13
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