«Smorzare i toni». Evitare cioè che si drammatizzi troppo un percorso di riforma, quello della Giustizia, che si annuncia sì lungo ma in ogni caso legittimo nelle sue modalità. È questo, secondo fonti governative, il punto su cui ieri Sergio Mattarella e Giorgia Meloni hanno concordato nell’ora di colloquio che ha seguito il consiglio supremo della Difesa. Un incontro a due blindatissimo tenuto in quello studio alla vetrata del Quirinale dove a ottobre scorso il Capo dello Stato affidò a Meloni l’incarico di formare l’esecutivo e dove lo stesso Mattarella è stato informato dell’esito del vertice Nato di Vilnius prima del faccia a faccia.
«Un segnale di attenzione» spiegano ancora dall’esecutivo, sottolineando come una presunta moral suasion di Mattarella «sui dettagli» della riforma Nordio, oggi non abbia motivo di esistere. Il ddl infatti, attende il suo via libera per l’invio alle Camere. Una firma che ci sarà - confermano dalla maggioranza - rimandando la verifica a dopo la promulgazione.
Eppure, anche se da ambo le parti sottolineano come «i rapporti tra i due siano da sempre ottimi» e come «tali saranno mantenuti», l’excusatio non petita per cui palazzo Chigi parla di un tête-à-tête «senza tensioni» e il Quirinale assicurato un clima «cordiale e costruttivo», desta più di qualche sospetto. Resta infatti difficile pensare che il Capo dello Stato, che presiede il Consiglio superiore della magistratura, si sia astenuto da commenti sulla necessità di far rientrare le tensioni con i magistrati, così come che Meloni non abbia rilevato nuovamente le presunte «storture» nell’azione dei giudici sul caso Delmastro.
Tuttavia, evidenzia invece chi nell’esecutivo è preoccupato non solo per una possibile escalation nei rapporti con la magistratura, l’attenzione del Presidente della Repubblica si sarebbe più che altro rivolta sui ritardi del Pnrr, mostrando apprensione per la terza tranche non pervenuta e le modifiche in corso d’opera.
LE FIBRILLAZIONI
D’altro canto tra i più vicini alla premier a palazzo Chigi nessuno nega le fibrillazioni degli ultimi giorni né la sensazione meloniana di essere finita avviluppata in vicende che avrebbe preferito non gestire in prima persona. Specie, spiegano, «in una fase di accreditamento internazionale determinante» che la porterà alla Casa Bianca il prossimo 27 luglio. Tuttavia, questa è la convinzione, le bucce di banana che hanno causato più d’uno scivolone presto «si ridimensioneranno». I casi Santanché e La Russa perché sono indagini in corso che, politicamente, riguardano un’imprenditrice su cui già aleggiava qualche dubbio fiscale prima che divenisse ministra e «un padre che avrebbe dovuto gestire diversamente una vicenda complessa». Su Delmastro invece è ritenuto «lapalissiano» l’esercizio di potere spropositato dei giudici. In pratica «senza novità eclatanti vincerà il generale agosto». Archiviati il Papeete e la campagna elettorale post Draghi, nei desiderata governativi il mese venturo è cioè destinato a tornare al suo vecchio ruolo di grande calmieratore di tensioni e pulsioni, lasciando ministri e sottosegretari ai propri posti. Almeno fino a settembre.
Ultimo aggiornamento: Venerdì 14 Luglio 2023, 10:27
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