Sabrina Quartieri
Quattro fratelli, quattro infermieri e un'unica missione: lavorare

Sabrina Quartieri Quattro fratelli, quattro infermieri e un'unica missione: lavorare
Sabrina Quartieri
Quattro fratelli, quattro infermieri e un'unica missione: lavorare e combattere in prima linea nella lotta al coronavirus. Una prova difficile se, al contatto costante con i pazienti Covid-19, sospesi tra la vita e la morte, si aggiungono i ritmi incessanti in corsia, le protezioni obbligatorie ma che non rendono certo facile il lavoro, la preoccupazione di contagiare le proprie famiglie. Eppure Maria, Stefania, Valerio e Raffaele Mautone, originari di Napoli e infermieri di professione, non hanno paura di affrontare la parte più dura dell'emergenza sanitaria. Ci credono, lo vogliono più di ogni altra cosa, sono abituati a combattere. Lo hanno imparato quando abitavano nelle case popolari di Pianura, un quartiere difficile del capoluogo partenopeo.
«Abbiamo sempre lottato e continueremo a farlo in prima linea, con le nostre mani nude, con la nostra umanità, pronti in ogni momento a intervenire e aiutare», racconta Raffaele, 46 anni, assunto al Cardiocentro di Lugano (in Svizzera) e residente a Fino Mornasco, vicino Como, dove vivono anche Maria e Valerio. Loro, invece, lavorano all'ospedale Sant'Anna della città lombarda. Lei, 36 anni, mamma di due bambini, ha sconfitto le ultime paure davanti al primo paziente Covid-19 e con il tempo ha imparato a sorridere oltre le barriere, anche solo con gli occhi. A volte Maria riesce persino a intonare canzoni per i suoi pazienti. Come in una notte di marzo, quando ha sussurrato Sempre si cambia di Giorgia per accontentare chi gliel'aveva chiesta. Valerio, invece, lavora in rianimazione Covid, su base volontaria; ha accettato l'incarico perché è esperto nella difficoltosa manovra di pronare i degenti intubati, così importante nella cura di chi è affetto da coronavirus. Nel suo reparto gli infermieri hanno assistito spesso in questi mesi a drammatiche telefonate dei pazienti ai propri cari, rivelatesi poi le ultime, prima del loro decesso: «Vedi la paura nei loro occhi ma li senti parlare con una voce che cerca di tranquillizzare chi sta a casa e li aspetta», spiega il 43enne infermiere napoletano. Per fortuna, alcune storie sono finite bene. Come quella di Andrea, 24enne, che appena si è svegliato dal coma ha voluto il cellulare per avvisare sua madre. O quella di Michele, 50 anni, che si è fatto scrivere proprio il nome di Valerio sul braccio con un pennarello, in segno di affetto.
Dei quattro fratelli, a Napoli è rimasta Stefania, 38 anni, mamma di una bimba e infermiera nell'area sospetto Covid al Vecchio Pellegrini del centro storico, dove tra le mille cose organizza anche donazioni di pigiami per i ricoverati indigenti.
La famiglia Mautone non si riunisce da quattro mesi, da quando in pratica è scattata l'emergenza. Si sentono al telefono, si accontentano, con la speranza di riabbracciarsi presto. Intanto Raffaele raccoglie le lettere scritte dai suoi colleghi, che stanno vicino alla sofferenza dei malati, e spiega: «Le voglio portare a Papa Francesco insieme a una nostra divisa. Gli infermieri di tutto il mondo meriterebbero il Premio Nobel per la pace».

Ultimo aggiornamento: Lunedì 27 Aprile 2020, 05:01
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