La costruzione del mito di Sanzio, nonché la sua diffusione e la sua tutela ad opera dell’Accademia, ma anche il tema della “copia” come elemento di studio, strumento di indagine e apprendimento, sono al centro della mostra “Raffaello. L’Accademia di San Luca e il mito dell’Urbinate”, a cura di Francesco Moschini, Valeria Rotili e Stefania Ventra, coadiuvati dal comitato scientifico, visitabile all’Accademia nazionale di San Luca fino al 30 gennaio, nel’ambito delle attività patrocinate dal Comitato Nazionale per le celebrazioni dei 500 anni della morte di Raffaello Sanzio. Figura imprescindibile per la sua epoca e le generazioni successive, Raffaello, con i suoi lavori, ha ispirato molti artisti nel corso dei secoli e l’Accademia stessa, che alla sua azione si è ispirata. A illustrare il legame dell’istituzione con Sanzio, sono cinquantacinque opere appartenenti alla collezione ma anche provenienti da importanti prestiti. Apre il percorso è la pala “San Luca che dipinge la Vergine”, tradizionalmente attribuita a Raffaello e assunta come immagine-simbolo dell’Accademia Nazionale di San Luca già dagli anni Ottanta del Cinquecento, qui per la prima volta esposta accanto alla sua fedele copia eseguita da Antiveduto Gramatica nel 1623, conservata sull’altare della chiesa dei Santi Luca e Martina. Tra i lavori, pure il “Putto reggifestone”, anche questo attribuito a Raffaello, giunto in Accademia con il lascito testamentario di Jean-Baptiste Wicar nel 1834. Esposto, fu subito copiato da molti autori. Ecco il tema del “modello” che viene replicato per apprenderne tecniche e segreti. Nel percorso, pure le sezioni “Raffaello nella cultura accademica”, con disegni eseguiti da giovani artisti nei concorsi accademici, “Raffaello nella galleria accademica”, con foto dalle quali si può evincere l’importanza delle opere di Raffaello nell’Accademia. Chiude l’iter, “Raffaello nell’opera dei maestri dell’Accademia”. In programma, visite guidate a numero chiuso.
A Sanzio, fino al 29 novembre, è dedicata la mostra “La lezione di Raffaello. Le antichità romane”, a Villa di Capo di Bove sull’Appia Antica. In primo piano, i temi della lettera di Sanzio e Baldassarre Castiglione a Papa Leone X, nel 1519, sviluppati attraverso ventinove opere, tra dipinti, incisioni, libri e disegni. Curato da Ilaria Sgarbozza, l’iter pone in relazione alla lettera, presentata in modalità digitale, materiali sette-ottocenteschi, tra libri, stampe, disegni, dipinti, una scultura. Esposto pure un manoscritto di Pirro Ligorio che riproduce molti monumenti sepolcrali della via Appia, secondo il metodo indicato da Raffaello.
Fino al 6 gennaio, a Villa Farnesina, “Raffaello in Villa Farnesina: Galatea e Psiche”. Curata da Antonio Sgamellotti e dal conservatore di Villa Farnesina Virginia Lapenta, l’esposizione presenta gli esiti delle indagini del gruppo coordinato da Sgamellotti stesso, che hanno portato alla scoperta del blu egizio, usato da Sanzio nell’affresco “Trionfo di Galatea” a Villa Farnesina. Un colore antico, che si credeva dimenticato, che l’artista ha fatto ricreare basandosi sulle fonti antiche.
Ancora anniversari. Vari gli appuntamenti espositivi per i trecento anni dalla nascita di Giambattista Piranesi. L’Istituto Centrale per la Grafica, fino al 31 gennaio, ospita la mostra “Piranesi.
Appuntamento piranesiano, anche alla Casa di Goethe, fino al 28 febbraio, con “Piranesi oggi”, a cura di Maria Gazzetti, che pone in dialogo incisioni di Piranesi dalla propria collezione, “Vedute di Roma” e Capricci” con opere di artisti contemporanei italiani e tedeschi, a sottolineare la vitalità e l’importanza dell’influenza piranesiana nell’arte, anche contemporanea. Ecco allora, lavori di Gabriele Basilico, Sebastian Felix Ernst, Flaminia Lizzani, ma anche di Elisa Montessori, Gloria Pastore, Max Renkel e Judith Schalansky. Obiettivo, offrire, appunto, nuovi punti di vista e riflessione.
Il museo di Roma a Palazzo Braschi, invece, fino al 15 novembre celebra Giovanni Amos Comenio, filosofo e pedagogista ceco, nella mostra “Comenio - un pensatore nei labirinti dell’Europa del XVII secolo”. Tra scritti, stampe, opere editoriali, mappe e proiezioni audiovisive, quasi sessanta opere, alcune esposte per la prima volta, illustrano il pensiero del filosofo, vissuto tra 1592 e 1670, guardando pure alla sua attualità.
All’Istituto giapponese di Cultura, fotografia protagonista con “Adolfo Farsari il fotografo italiano che ha ritratto il Giappone di fine '800”, a cura di Osano Shigetoshi, professore emerito dell’università di Tokyo, in collaborazione con Istituto Italiano di Cultura di Tokyo, visitabile fino all’8 gennaio. Esposte sessantaquattro immagini, esempi della fotografia in bianco e nero poi colorata a mano detta Yokohama Shashin. Avventuriero e fotografo, Farsari ha raccontato il Giappone nel suo lento divenire, contribuendo a costruire, con i suoi scatti, l’immaginario occidentale in tema fino ai nostri giorni.
Ultimo aggiornamento: Venerdì 23 Ottobre 2020, 10:53
© RIPRODUZIONE RISERVATA