I "miracoli" di LaChapelle, la fotografia come forma di religione

I "miracoli" di LaChapelle, la fotografia come forma di religione

I "miracoli" di LaChapelle, la fotografia come forma di religione

di Ferruccio Gattuso

Fotografo, regista delle proprie opere, narratore del contemporaneo, uomo di fede. Lussureggiante, poetico, mai volutamente provocatorio. David LaChapelle si racconta da sempre come uomo dell’immagine («credo nella comunicazione attraverso l’immagine, che è altrettanto importante delle parole»), ma quando ricorre a queste ultime, addirittura commuove. Esattamente così ha fatto ieri l’artista statunitense (originario del Connecticut, classe 1963) quando ha preso la parola alla presentazione ufficiale della mostra David LaChapelle I Believe in Miracles, in scena al Mudec da oggi all’11 settembre.

«Il Mudec - ha spiegato LaChapelle – è lo spazio perfetto per ospitare un mole di lavoro così ciclopica. Ci sono quarant’anni di fotografie. Quando cominciai avevo l’urgenza di esprimermi in corsa, volevo creare il più possibile perché, sinceramente, non pensavo di poter vivere a lungo. In quegli anni c’era un’altra guerra, si chiamava Aids, tanti miei amici ne furono travolti. Già allora mi avvicinai alla fede, alla devozione e alla fiducia nei miracoli. Credere in un miracolo significa anche credere nell’essere umano, nel suo potere di generare amore. Creare arte in guerra è difficile, ma necessario. Quando c’è n’è una puoi solo pensare a sopravvivere, a cercare riparo, a sfamarti. La morte, ieri come oggi, mi ha spinto a cercare di capire cosa fosse l’anima. Mi piace pensare alle mie opere come a brani musicali: devono arrivare in modo diretto e far risuonare qualcosa».

Un viaggio per immagini («la sua fotografia è arte scenica», spiega Denis Curti, curatore della mostra con Reiner Opoku) attraverso novanta opere - tra grandi formati (a cominciare da quella, gigante, di 16 x 4 metri all’ingresso della prima sala), scatti site-specific, nuove produzioni e una videoinstallazione – dove l’artista racconta una carriera partita negli anni ’80, a soli 18 anni, quando cominciò a farsi notare a New York e presto divenne il fotoreporter numero uno di “Interview”, la rivista di Andy Warhol (qui nella mostra è presente l’ultimo scatto fatto all’icona della pop art, poco prima di morire) e proseguita fino a oggi.

Dagli scatti pop a celebrities come Pamela Anderson, Kim Kardashian, Eminem, Madonna, Uma Thurman, Hillary Clinton fino alle “visioni” spirituali e alle citazioni bibliche che esplodono in opere evocanti L’Annunciazione, L’Ultima Cena o la Pietà (dove Maria e Gesù sono Courtney Love e Kurt Cobain) passando per scatti poetici come il bacio di una coppia anziana in “Revelations”.

Sullo sfondo, i resti di un mondo, per dirla con LaChapelle, «che sta andando a pezzi, ma che possiamo rimontare. Liberandoci del materialismo e dell’ansia, attraverso l’amore e la fede».

Come dove e quando “David LaChapelle – I Believe in Miracles” a cura di Reiner Opoku e Denis Curti, al Mudec via Tortona 56 da oggi all’11 settembre, lun ore 14.30-19.30, mar-mer-ven-dom ore 9.30-19.30, gio-sab ore 9.30-22.30, biglietto 15 euro, info www.mudec.it


Ultimo aggiornamento: Sabato 23 Aprile 2022, 18:12
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