Sollecito, la Cassazione: "Bugie e silenzi, no al risarcimento"
La Corte d'Appello di Firenze aveva respinto, nel gennaio scorso, l'indennizzo ritenendo che Sollecito con il proprio comportamento «gravemente colposo» avesse concorso a indurre gli inquirenti a disporre la misura cautelare nei suoi confronti: se Raffaele Sollecito avesse detto fin da «subito, senza contraddizioni» la verità la sua posizione processuale sarebbe state sicuramente diversa, «apparendo probabile che egli non sarebbe stato neppure indagato» o, comunque, «le esigenze cautelari sarebbe stati meno gravi». Una conclusione condivisa dal collegio della quarta sezione penale della Cassazione. Sollecito spiegò di aver lavorato al computer tutta la notte, invece il pc era rimasto per lungo tempo inattivo, parlò di una telefonata con il padre, che non c'è stata, e ha sempre negato la presenza sua e di Amanda Knox nella casa dell'omicidio. La reticenza, le bugie e il silenzio, spiega la Cassazione, «possono essere valutate dal giudice della riparazione in termini dolosi o gravemente colposi», e lo stesso - si legge nelle sentenza n. 42014 - vale «per quanto riguarda l'alibi» rilevatosi «nell'immediatezza falso».
Ultimo aggiornamento: Giovedì 14 Settembre 2017, 17:19
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