Non basta una giornata per combattere la violenza sulle donne

Non basta una giornata per combattere la violenza sulle donne
Per combattere ed evitare 32 femminicidi nei primi 9 mesi del 2018, nonché moltestie e abusi su una donna che si registrano ogni due giorni è stata proclamata la giornata contro la violenza sulle donne in tutto il mondo. Anche in Italia sono numerose le iniziative in programma: a Roma la manifestazione nazionale organizzata ormai da anni dall'Associazione "Non Una di Meno". Nel fine settimana anche la Serie A di calcio scende in campo con un'iniziativa di solidarietà. Molti comuni illumineranno di arancione le facciate dei municipi. Tantissime persone si sono colorati di una striscia rossa sul viso per esprimere la propria solidarietà al sesso femminile.

Ma – come accade anche per l’8 marzo - non tutte le donne vedono questa giornata come chi la celebra perché la impone il calendario. «Mi sono rifiutata di prestare il mio volto per le campagne contro la Violenza sulle donne e spiego il motivo», scrive in un post Francesca Barra, scrittrice, giornalista e volto noto della tv. ‪«Un bambino di 11 anni muore perché il padre vuole punire la madre – continua la Barra - La madre aveva più volte chiesto aiuto. E noi pensiamo che le campagne contro la Violenza alle donne servano davvero a qualcosa? Sarò controcorrente, ma sono solo vetrine. Serve che le donne vengano protette! E che le ascoltiate, che vengano sostenute e i molestatori allontanati. Curati! Mandati in galera!».

Di iniziative se ne sono contate tante. Significativa “la valigia di salvataggio” promossa da Anci Lazio e dall’Associazione Salvamamme la cui testimonial Barbara De Rossi in un video efficacissimo racconta la violenza di genere. Carmela Cassetta e Maria Grazia Passeri hanno creato un’occasione di dibattito, ma anche l’avvio di un percorso concreto in cui la valigia diventa emblema della fuga per la sopravvivenza da situazioni violente. «Il contrasto alla violenza sulle donne che i dati ci dicono in aumento – ha dichiarato Sara Manfuso, presidente dell'associazione #Iocosì - passa attraverso un sistema di sanzioni rigoroso ma anche attraverso delle campagne di formazione culturale che educhino ai sentimenti e al reciproco rispetto mettendoci in grado di capire quali sono le situazioni pericolose».
 A piazza Mignanelli venerdì sera c’è stata una sfilata a cui ha partecipato anche la presidente del centro antiviolenza Marie Anne Erize con la l'esibizione del coro VociPopSpel, dal titolo Le Quattro Regine, interpretate da Le Spose di Marianne.  

In campo – come sempre - anche l’associazione Bon’t worry Onlus-Ingo, creata per volere dell’economista Bo Guerreschi, è un’associazione nata con uno scopo ben preciso: proteggere le donne vittime di violenza, aiutare concretamente donne e bambini che per motivi economici non possono o non riescono a difendersi, creare sensibilità e consapevolezza di un fenomeno che, probabilmente, conosciamo solo in minima parte. Secondo l’associazione sono quasi 12 milioni in Italia le donne che, nel corso della loro vita, hanno subito violenza fisica (22%) o sessuale (24%) o forme più gravi di abusi come stupri e tentativi di stupro (7%). L’abuso psicologico, però, tocca indistintamente tutte le donne. ‪«Le donne con cui ho condiviso la mia esperienza, quelle che sono arrivate alla nostra Associazione – spiega Bo Guerreschi - a sua volta vittima di soprusi, abusi psicologici e fisici – si vergognano di quello che sta capitando loro, si sentono talmente responsabili, colpevoli al punto da chiedere sempre scusa. L’Associazione offre loro un luogo sicuro, in attesa di riprendere le fila della propria vita; mette a disposizione avvocati, medici, psichiatri e psicologi specializzati in post-trauma e fornisce un supporto in termini di sicurezza».

Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità le donne violentate hanno il doppio delle possibilità di soffrire di depressione o di fare abuso di alcolici e di anoressia. Un’altra sfera gravemente danneggiata è quella della gravidanza: le possibilità di vivere il dramma dell’aborto raddoppia e le probabilità di partorire neonati sottopeso aumenta. A tutto questo vanno aggiunti altri aspetti: in tutti i reati di violenza bisogna considerare la difficoltà di Polizia e Carabinieri a raccogliere prove poiché non sempre questi reati hanno testimoni diretti. Bisogna inoltre considerare che ci vogliono mesi per portare avanti la denuncia, altri mesi (anche fino a 2 anni) per la fase istruttoria e se si svolge un ordinario processo, almeno uno/due (o più) anni per avere la sentenza di primo grado. Fino a quando la sentenza non è definitiva, l’imputato rimane in libertà, mentre le donne in case protette sembrano recluse.
Ultimo aggiornamento: Domenica 25 Novembre 2018, 07:51
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