Bari choc, infermiere viene avvelenato: ora è disabile, non potrà più lavorare. «Un collega disse: è un infame»

L'uomo è disabile a causa del tentativo di avvelenamento. Intimidazioni e furti di medicinali all'interno della struttura ospedaliera pugliese

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di Redazione web

Un evento scioccante, che ha scoperchiato un vero e proprio vaso di Pandora presso l'istituto tumori “Giovanni Paolo II” di Bari: un infermiere, dopo aver ingerito un thè avvelenato, ha sviluppato una grave disabilità, che gli impedirà di continuare a lavorare. La vittima dell'avvelenamento, definita "infame" da un collega, è attualmente in condizioni gravissime, e ha bisogno di assistenza continua. 

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L'avvelenamento e le altre irregolarità

Questo episodio si aggiunge ad altre irregolarità scoperte nelle ultime settimane: un altro infermiere con precedenti regolarmente in servizio nonostante fosse ai domiciliari, un reparto da cui i dipendenti rubavano farmaci e anche soldi ai malati. Alla luce di questa situazione incresciosa, è stata avviata un'indagine che ha rivelato un clima intimidatorio all'interno della struttura: minacce in stile mafioso a genitori, compagni o figli di pazienti, traffico di medicinali, visite private in nero e tanto altro.

La vittima dell'avvelenamento, ignara, ha bevuto un thè contenente una sostanza tossica: il capo sala era stato definito "infame" da un collega già nel giugno 2019. Dopo aver ingerito inconsapevolmente il veleno, ha riportato renale acuta, necrosi tubulare acuta, insufficienza respiratoria acuta, emorragia cerebrale, emiparesi facio-brachio-crurale destra e afasia. Attualmente vive con la sorella, e ha bisogno di assistenza continuità per via di una grave disabilità. Il malcapitato si è rifiutato di commentare ulteriormente la vicenda.

C’è poi il caso di Onofrio Costanzo, uno dei sei sottoposti a misura (nel suo caso l’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria) ma ai domiciliari dal 2020, con permesso per lavorare, per la ricettazione di un cellulare rubato. La scorsa settimana, invece, 6 persone (due ancora in servizio e ora sospese, quattro in quiescenza) sono state sottoposte a misura cautelare e non hanno risposto alle domande del gip in sede di interrogatorio di garanzia. Il tutto avveniva nel reparto di Oncologia medica, retto fino al luglio scorso dal primario Vito Lorusso, il medico arrestato in estate per aver chiesto soldi ai pazienti per visite e ricoveri che sarebbero stati gratuiti. 

L'indagine

L'indagine è partita da un fatto che risale al 2020: un’infermiera, fermata per aver sottratto 250 euro dal borsellino di una paziente ricoverata, ha deciso di raccontare agli inquirenti gli strani «movimenti» che avvenivano nell’infermeria e all'interno del deposito del reparto. L'indagata ha raccontato la reazione dei colleghi alle sue legittime perplessità.

Uno di questi, non indagato, all’ennesima domanda, l’avrebbe minacciata così: «Hai rotto i c….

Sappiamo dove abiti, chi è la tua compagna e che sei un’infame come tua cognata, conosciamo tua madre che lavora qui da tanti anni e stai attenta a tua madre, che non ci vuole niente a farle del male». Pochi giorni dopo, nella sua casetta delle lettere, la donna avrebbe trovato alcune foto della sua compagna al lavoro e con i suoi due nipotini. La sorella della compagna, come spiegano gli inquirenti, è una collaboratrice di giustizia. Il pm Ignazio Abbadessa ha commentato: «Questo clima intimidatorio è intollerabile. Costanzo, in particolare, ha una naturale tendenza a commettere illeciti».


Ultimo aggiornamento: Domenica 8 Ottobre 2023, 16:02
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