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Il Dopo di Noi è un tema che negli ultimi anni ha portato alla luce le difficoltà di milioni di persone disabili e delle loro famiglie. Il futuro è motivo di preoccupazione perché i genitori non sanno che sarà dei figli dopo la loro morte. Casa Salvatore, nel quartiere Salario della Capitale, è una casa famiglia gestita dalla cooperativa Spes Contra Spem che ospita da anni sei persone con tipologie e gradi diversi di disabilità. Alcuni non hanno più una madre o un padre che possa occuparsi di loro, ma hanno imparato a convivere e a sentirsi parte di una grande famiglia. Alessandro, Anna, Elio, Patrizia, Pino e Roberto sanno bene che l'accoglienza e l'integrazione sono dei valori cardine nella loro casa.
Ogni ospite ha una storia da raccontare e un modo per affrontare la quotidianità insieme agli altri, ma non è stato semplice traslocare e abbandonare le proprie abitudini. «Non ci volevo venire, avevo paura, perché non sopporto bene i cambiamenti», ci racconta Pino seduto sul divano del salotto. Nello sguardo di chi cerca nella memoria un ricordo, c'è anche la voglia di parlare e di condividere i momenti più importanti della vita con dei perfetti sconosciuti. «Prima di venire qui - aggiunge Patrizia - sono stata 12 anni dalle suore. Non sapevo cosa avrei trovato, ma ora sono contenta perché ci sono tante persone dolci con me».
«C'è un'equipe di operatori sociosanitari che si prende cura h24 delle persone che vivono qui dentro. - spiega il responsabile Marco Coletta - L'idea è che, come per ogni persona, anche i disabili possano allontanarsi dal nucleo familiare per andare a vivere da soli». «Abbiamo compiti a 360 gradi, dall'assistenza alla persona all'accompagnamento, e lavoriamo per obiettivi in base alle autonomie di ognuno», racconta uno degli operatori.A Casa Salvatore, infatti, si impara a essere il più indipendenti possibile per integrarsi e vivere una vita piena. Tante le attività ricreative, dal teatro alla musicoterapia, ma anche le cene in compagnia dei volontari e dei nuovi amici. Un modo per stare insieme e per conoscere il quartiere. «Il messaggio che vogliamo mandare - conclude Coletta - è che ognuno all'interno della comunità può farsi carico di un pezzettino delle difficoltà dei membri più fragili della società». Basta poco per sentirsi parte di questa famiglia e dimenticare per qualche ora routine e problemi. Donare il proprio tempo arricchisce perché l'incontro con l'altro, così inaspettato e senza filtri, resta impresso nella mente. «Si riceve molto di più di quello che si dà», sottolinea uno dei volontari.
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