Chiara Ferragni, l’ex collaboratore: «Non è più un'influencer. È caduta la maschera, ora si vede cosa c’è dietro»

Karim De Martino ha contribuito al successo dell'imprenditrice digitale lavorando all'implementazione del blog The Blonde Salad

Ferragni, l’ex collaboratore: «Non è più un'influencer, ora si vede cosa c’è dietro»

di Alessandro Rosi

«Chiara Ferragni? Non più un'influencer, perché guadagna da contratti di immagine più che da quello che fa sui social». Karim De Martino è un ex collaboratore dell'influencer finita nella bufera. È lui che ha contribuito al successo dell'imprenditrice digitale, dando al blog The Blonde Salad una veste più professionale. Cosa lo stupisce di tutta la vicenda? «Sembra che tutta la gente che la amava adesso la odi», confessa. Lui oggi è Vice President Business Development Europe presso Open Influence. Ma un tempo ha lavorato anche al Festivalbar. «Mi occupavo della parte digital. Ho lavorato all’ultima edizione condotta da Alessia Marcuzzi e Fiorello nel ’99, fino poi a quella con la Canalis nel 2007». Ora vive a Los Angeles. «Per il mio lavoro, l'influencer marketing, è il posto dove devi stare». Di recente ha incontrato Max Mariola e Lino Banfi. Lo raggiungiamo telefonicamente per farci raccontare la sua esperienza con la Ferragni.

Quando ha lavorato con Chiara Ferragni?

A fine 2009 inizio a lavorare al progetto The Blonde Salad con la Ferragni. Lavoravo sul blog, non sui social. In quegli anni, con la società di cui ero partner (Kiver), gestivamo le pagine social per Fascino, per i programmi della De Filippi, quindi Uomini e Donne, Amici, lavoravamo per la Sony, per la Warner, la Pausini, Tiziano Ferro, Zucchero, Francesco Renga. Facevamo social media management per il mondo della musica.

Com'è venuto in contatto con lei?

Tramite amici comuni che facevano la Bocconi. In particolare Tommaso Ricci, che a un certo punto mi disse “c'è questa ragazza che ha aperto da un mese un blog col suo fidanzato, sta andando molto bene ma hanno bisogno di una gestione un po' più professionale”. Prendemmo allora l’incarico come società e poi abbiamo fatto lo sviluppo tecnico, commerciale, abbiamo trovato la concessionaria. Insomma, abbiamo fatto crescere quello che era un progetto “amatoriale” e l'abbiamo fatto diventare invece un progetto professionale.

Non era abbastanza sviluppato come progetto?

Prima ancora di conoscere me era fortissima su duepuntozero, la community di universitari milanesi. Lei era una dei top user, se non la numero uno di questa piattaforma, che era una sorta di Facebook prima che nascesse. Da lì ha aperto il blog, e quindi ha avuto la spinta di questo social network. Poi è nato Instagram (lanciato a fine 2010, ma ha preso piede successivamente in Italia). Lei è sempre stata al passo coi tempi.

Lei è intervenuto sul blog, l'ha ottimizzato e migliorato. In che modo?

Il blog era su blogger, che era una piattaforma gratuita di blogging di Google, quindi non potevi fare granché. C’era il banner di Google, non avevi controllo, la forma grafica aveva diversi limiti. La prima cosa che abbiamo fatto è stata fare la migrazione su Wordpress, che invece è una piattaforma più “customizzabile”. Poi abbiamo fatto l'accordo con la concessionaria per la vendita degli spazi pubblicitari: prima Publikompass, poi Manzoni. 

Si è trovato bene a lavorare con lei?

Sono qua negli Stati Uniti grazie a lei, perché ho scoperto Los Angeles facendo viaggi di lavoro, a volte con lei e Riccardo. Chiara poi aveva comprato la casa qui e si era trasferita per un breve periodo. Non avrei la vita che ho oggi se non fosse stato per il mio incontro con lei. 

È una preparata? Lavora duramente?

Quando leggo “non ha studiato” oppure “è tutto regalato” non è vero niente. Chiara, fin da quando aveva 18 anni, non aveva una vita privata. Faceva tutto per il lavoro: le foto, i servizi, il blog. Aveva una visione chiarissima di dove voleva arrivare, cosa voleva fare. È una persona molto testarda, caparbia, che sa gli obiettivi che può raggiungere e come raggiungerli. Professionalmente è ineccepibile. Ha avuto la fortuna di lavorare in un settore che era in esplosione e di capire esattamente le carte giuste da giocare per arrivare al vertice.

Ha capacità di rinnovarsi?

Certo. Basta pensare al filone di narrazione della famiglia, con Fedez, che è completamente diverso da quello di dieci anni fa. Quando invece era tutto più sul fashion, sugli eventi mondani, sul viaggiare. Lo storytelling è molto legato al tipo di prodotti con cui collabori: se sei il fashion blogger che gira il mondo, hai uno sponsor; se sei la mamma che sta a casa con i bambini e cucina, hai degli sponsor diversi. È stata sempre molto brava a unire l'immagine personale al lavoro.

Quando ha interrotto i rapporti?

Quando la notorietà di Chiara si è sviluppata sui social, cosa con cui io non ho avuto niente a che fare perché il mio lavoro era quello sul blog. Finché nel 2014 la mia società, che si chiamava Kiver, è stata venduta alla Mondadori, io sono uscito e mi sono trasferito negli Stati Uniti.

Che colpe ha la Ferragni?

Non entro nel merito della colpevolezza. In questa vicenda ci sono due tribunali, quello vero e quello popolare. Il secondo si è già espresso. Per il pubblico purtroppo lei è già colpevole, anche se c'è un giudizio in atto. 

Altre aziende rischiano di lasciarla? 

È un dato di fatto che, se tu collabori con un brand, in questa situazione viene ricoperto di insulti.

Non è un'opinione, ma un dato di fatto. Basta aprire i canali di tutti questi brand con cui lei collabora, sotto le sue foto trovi solo insulti. Per cui è normale dal punto di vista di brand safety, di tutela di un'immagine, che ci siano delle decisioni. Chi, in questo momento, può rischiare di avvicinarsi a una situazione del genere? Anche perché non è l'unica scelta che hanno. 

In che rapporti siete rimasti?

Non ci sentiamo da tanti anni. La vidi l'ultima volta prima del covid a gennaio 2020, era venuta qui a Los Angeles a presentare il film, il documentario Amazon. Abbiamo fatto due battute veloci, non ho un rapporto così stretto. Stupisce veramente l’aggressività e i toni che questa vicenda ha preso. Sembra che veramente tutta la gente che la amava adesso la odi con una forza che stupisce. 

Un anno dopo Sanremo non è più la Ferragni della porta accanto? È caduta la “maschera”?

Chiara Ferragni non è una persona, ma un'azienda, un brand.  Viviamo in una situazione in cui le persone pensano alla Ferragni e pensano a una star del cinema. Ma non è così. Se tu prendi Tom Cruise, è lui che è miliardario. Ferragni invece è un'azienda con 30 dipendenti. È difficile mantenere il controllo di quello che succede quando inizi ad avere una struttura piramidale in cui distribuisci le responsabilità. In questo caso è difficile attribuire e capire se la colpa sia sua, anche se lei è quella che dà il nome. Bisogna veramente capire cosa è successo.

Che opinioni ha delle scelte del team attuale?

È difficile giudicare, non sono un esperto di comunicazione. Molti hanno fatto notare che lei sta tentando di rimettersi nella pista di quello che ha fatto sempre. Piccoli tentativi per ripristinare lo status quo, quello prima dello scandalo. Quindi ricominciando a postare foto della famiglia, mettendo foto di alberghi, dei figli. Ma secondo me sfugge il quadro generale.

Ora ha una società che le segue la comunicazione. Com’è cambiata?

Sta prendendo la strada di un'azienda. Non ha bisogno di un team di comunicazione e di legali per un personaggio, ma ha bisogno di un team di comunicazione e di legali per un'azienda. Se prima era incentrato sul personaggio, ora sull'azienda e sul salvare i contratti. Infatti le comunicazioni che escono adesso non sono tanto su di lei, ma sono sull'azienda. Si parla infatti dei contratti della sua azienda Fenice.

Si legge e si sente dire “il mondo degli influencer è morto”. È davvero così?

L’identificazione del mondo dell’influencer come il male, per quello che è successo, è molto rischioso. Si tende a fare di tutta l’erba un fascio, quando è un settore con dei professionisti, delle professionalità, e che adesso fortunatamente sta iniziando ad avere delle regole ben chiare. Peccato che ci sia un accanimento di lei in primis e generalizzato contro l’influencer. Chiara Ferragni non rappresenta tutti gli influencer del mondo, non è l’unica content creator. È sicuramente una persona che ha avuto un successo, una celebrity e non più un'influencer, perché guadagna da contratti di immagine più che da quello che fa sui social.

Non è uno quindi uno spartiacque.

È come dire che trovi uno sportivo che usa il doping e allora il mondo del calcio è finito.

Tipo Maradona.

Esatto, impensabile che la gente non segua più il calcio, non vada più allo stadio, non compra più le magliette, niente più sponsorizzazioni. Non è così.

Resterà una diva?

Rimarrà una persona che ha fatto la storia del mondo degli influencer marketing in Italia. Sarà ricordata come la prima e più grande influencer italiana. È sulla cresta dell'onda da 15 anni. 

Sui social si leggono di attacchi anche al general manager.

C'è accanimento da parte degli haters anche nei suoi confronti. Sono tutti attaccabili, diventa difficile anche proteggere il suo mondo. Dagli amici ai parenti, tutti quanti. Ho visto commenti contro la sorella, la mamma.

L’ha definita “radioattiva”.

In America “Radioactive” si usa quando una persona, se viene anche citata, subito le folle si scatenano in maniera negativa. Negli States hanno più di questi esempi: ad esempio quanto era successo a Will Smith con lo schiaffo alla notte degli Oscar. Da quel momento i brand devono comunque avere a che fare con le conseguenze.

Lui si è ripreso, oggi è una star mondiale su Tik Tok.

Come tutte le cose, prima o poi si riassorbono. The Show Must Go On.


Ultimo aggiornamento: Mercoledì 7 Febbraio 2024, 08:38
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