Continua a destare angoscia la vicenda dell'arresto e della detenzione di Patrick Zaki in Egitto. Ad una storia già agghiacciante, si è aggiunto un nuovo capitolo: è finito infatti in carcere anche il direttore dell'Ong per cui lo studente, ricercatore all'Università di Bologna, lavorava. Anche altri due attivisti erano stati imprigionati dalla polizia egiziana negli scorsi giorni, nel tentativo di tagliare la testa all'organizzazione che si batte per i diritti umani nello Stato nordafricano.
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Sono passati quasi dieci mesi da quanto la Procura per la Sicurezza dello Stato egiziana ha arrestato lo studente Patrick Zaki, all’aeroporto del Cairo, con delle accuse disumane, come propaganda sovversiva su Facebook. Nonostante i continui appelli della popolazione civile e dell'instancabile lavoro di numerose associazioni umanitarie, Amnesty International in testa, Patrick è ancora dietro le sbarre, senza la possibilità di vedere i propri familiari (se non in rarissime occasioni e per brevissimi colloqui) e con il rischio di contrarre il Covid. Si trova inoltre in una delle prigioni più pericolose e dure che esistano, il penitenziario di Tora, nella sezione dedicata agli oppositori politici.
La situazione continua però a peggiorare, e alle richieste di rispetto dei diritti umani, l'Egitto risponde con il pugno di ferro.
Ieri, subito dopo il fermo di Razek, l'ambasciatore d'Italia al Cairo, Giampaolo Cantini, insieme a numerosi capi missioni di altri Paesi non solo europei, aveva inviato una lettera al ministro degli Esteri egiziano Sameh Shoukry per richiedere il rilascio dei dirigenti.
Ultimo aggiornamento: Venerdì 20 Novembre 2020, 13:00
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