Raphael Gualazzi racconta "Dreams": «Il mio soul contro barriere e dipendenza»

Il cantautore marchigiano pubblica il nuovo album. «Noi uomini bianchi ancora privilegiati»

Raphael Gualazzi racconta "Dreams": «Il mio soul contro barriere e dipendenza»

di Rita Vecchio

La musica come fine e l’autenticità il mezzo per raggiungerlo. Raphael Gualazzi firma Dreams, il nuovo album con cui si svincola da sovrastrutture armoniche e trova il suo spazio in un interplay di generi. Pop, jazz, soul, R&B anni ’70, disco. Pop, jazz, soul, R&B anni ’70, disco. Pubblicato con CAM Sugar (nel cui catalogo master originali come quelli di Ennio Morricone e di Nicola Piovani), sono 12 tracce e 3 bonus track, “Coltivatori Lunari”, “Poi si vedrà” e “Il giro”, sigla del Giro d’Italia 2023. A dare la visione del suo immaginario fantasmagorico è la stessa copertina. I tasti bianchi e neri di un pianoforte vengono fuori tra un palazzo di una città stilizzata e un altro, magica consolazione dell’austerità attorno. E’ l’incontro di sogno e realtà. Quella fusione che, per il cantautore marchigiano, è diventata nella carriera impronta identitaria. Lo aspetta un tour nei teatri italiani e la presentazione di Mi pequeño Chet Baker, corto al Festival del Cinema di Roma di cui ha scritto la colonna sonora.

Raphael Gualazzi, i sogni son desideri. 

«E Dreams è uno di questi». 

E’ un momento bello? 

«E’ sempre bello il momento in cui esce un nuovo progetto. Il titolo mi piace perché parla di sogni. Di sogni a occhi chiusi e a occhi aperti, dal valore sociale e intimistico, sogni di uguaglianza e di coraggio, sogni nel cassetto, anacronistici e terapeutici». 

Insomma, riguardano tutto e tutti. 

«Partono da dentro per potersi relazionare con ciò che è fuori di noi. Il sogno è verità».

In “Soul affirmation”, brano scritto insieme a Emma Morton, si parla di uomini bianchi, etero e di privilegi. Viviamo nella società delle categorie?

«Non è questione di categorie, ma è un dato di fatto che noi uomini, e noi uomini bianchi soprattutto, abbiamo avuto una serie di possibilità in più rispetto a una situazione esattamente opposta». 

Opposto al bianco c’è il nero. 

«Sì, o semplicemente un’altra persona. Rielaboro il concetto di equility, non vivo in modo dogmatico una ideologia. L’equality prevederebbe l’eliminazione del concetto di privilegio. Dovrebbero esserci le stesse possibilità per tutti, cosa che non c’è». 

Lei canta anche di dipendenza.

«“Addiction waltz" è una canzone che nasce dalla necessità di affrontare il tema da un punto di vista introspettivo. Quando si parla di dipendenza si pensa subito a quella dalla droga e dall’alcol. Ma ci sono dipendenze che nascono per sconfiggere altre dipendenze. Credo che la dipendenza vada sì combattuta ma che allo stesso tempo sia importante riuscire in parte a conviverci». 

E lei che rapporto ha con le dipendenze?

«Le affronto. Vedo le mie, quelle degli altri e del mondo che ci circonda. Andiamo in cerca di dipendenza come fosse equilibrio. Sono figlie di un trauma generazionale irrisolto». 

Quali sono le sue?

«La musica, dipendenza che non voglio combattere». 

“Sono un uomo selvaggio che canta male, musica per favore perdonami”. Davvero si deve far perdonare?

«In “Wild man singing”, “bad” ha il significato di “tosto" o “cattivo”. Qui decide chi ascolta. Il brano è dichiarazione d’amore alla musica, come tutto l’album». 

E che album è Dreams?

«Il riassunto di percorsi intrapresi, deciso nella direzione etica ed estetica, nell’arrangiamento, nei particolari, nella intensa collaborazione tra tanti musicisti (Tony Canto, Yorker, Jacopo Ettorre, Mamakass, Kaballà, ndr). Alcuni suoni registrati insieme nella stessa stanza, alcuni suonati e cantati live per ricreare atmosfere che hanno fatto la storia della musica. Dreams è proiettato al futuro partendo da una consistente base di presente. Il sogno, se ci pensiamo, ha attraversato tutte le mie composizioni. Dalla dicotomia di "Reality and Fantasy” a “Sai (ci basta un sogno)” di “Happy Mistake”, ad altri brani dalle atmosfere psichedeliche». 

Onestà intellettuale: è difficile, tra mercato discografico e stream, mantenerla?

«Come diceva Pasolini, ci sono diverse tipi di persone e ci sono gli sgomitatori sociali.

Rincorrere non è un termine che mi piace e non lo auguro a chi fa arte. Credo che l’augurio più bello a chi fa musica sia che è un artista autentico». 

E lei  è autentico. 

«Non sono io che devo dirlo, ma mi sento tale. Le scelte in Dreams sono coerenti con quella che è la mia curiosità musicale senza tradire i percorsi fatti, anche quelli che non coincidevano totalmente con ciò che volevo davvero». 

L’Eurovision è un palco dove tutti vorrebbero andare. Lei che ha riportato l’Italia in gara dopo 14 anni, si sente fiero? 

«E’ stata una bellissima esperienza. Il mio ruolo era stato quello di portare un brano diversi dagli altri in gara, jazz, acustico, concentrato su armonie e suono (“Follia d’amore”, in inglese, ndr). Sono stato felice, qualche anno dopo, della vittoria di Salvador Sobral». 

Insomma, ci tornerebbe. 

«Perché no. Se ho un brano adatto a quel tipo di vetrina, sì. Non ho limiti e nemmeno pregiudizi rispetto alla condivisione della musica». 

E un brano adatto alla vetrina Sanremo lo avrebbe?

«Per me, sì. Non sgomito né rincorro niente. Ma se si presentasse la possibilità o se ricevessi l’invito so cosa vorrei portare. So qual è il brano per arrivare ultimo o penultimo (ride, ndr)». 

Chi sono i "fossili autocrati" e i "coltivatori lunari"?

«Coltivatori lunari sono quelli che simboleggiano le sfide più difficili da raggiungere». 

Una sfida sua difficile?

«Far cessare la tentazione del giudizio. Più che influenzato dal giudizio degli altri su di me, il mio nei confronti degli altri». 

Dicevamo dei fossili autocrati.

«Sono le credenze che tornano a inquinare. Sono le vecchie posizioni che impediscono alla società di essere libera e di evolversi naturalmente, lasciando che le cose restino immobili e che non cambino mai».

Ma il riferimento va alla politica e al mondo contemporaneo?

«Va alla condizione umana». 

Suo padre è Velio, fondatore degli Anonima Sound con Ivan Graziani. L’essere figlio d’arte l’ha aiutata?

«Ha influito sul mio modo di sperimentare. Per un bambino crescere tra collezioni di vinili, ascoltando Ray Charles che interpreta Yesterday dei Beatles, è una esperienza forte». 

Ma chi ha pagato le prime lezioni di pianoforte è stata sua madre. 

«Ha capito che era la mia strada. Non era difficile immaginare che il mio futuro non sarebbe stato chiuso in una biblioteca. Allora studiavo all'Università Conservazione di beni culturali». 

E suo padre come la prese? 

«Mi rispose che fare il musicista sarebbe stato un sogno. E allora sogniamo, gli dissi io. Perché mai non dovremmo farlo?». 

Tra un mese esatto, saranno 42 anni. Lei sogna sempre? 

«Sì, moltissimo». 

Un sogno? 

«Sogno di realizzare tutti i miei sogni. E’ una risposta un po’ marzulliana, lo so (ride, ndr). Ho messo la “s”, Dreams al plurale, perché sono tanti. Spero di potere continuare a fare musica in modo autentico». 

I sogni salvano anche dalle sconfitte. 

«La musica è una medicina, i sogni sono una medicina. Sì, salvano dalla sconfitta. E questa è una verità». 

---- 

LE DATE DEL TOUR (organizzate daBaobab Music and Ethics)

02/11 - Crema – Teatro San Domenico

03/11 - Mestre - Teatro Toniolo

05/11 - Milano - Teatro Carcano

06/11 - Torino - Teatro Colosseo

07/11 – Trento – Teatro Auditorium Santa Chiara

13/11 - Bologna - Teatro Duse

15/11 - Firenze - Teatro Puccini

20/11 - Ravenna - Teatro Dante Alighieri

21/11 - Roma - Teatro Brancaccio

25/11 - Sanremo - Teatro Ariston

30/11 - Senigallia - Teatro La Fenice

03/12 - Monopoli - Teatro Radar 


Ultimo aggiornamento: Giovedì 12 Ottobre 2023, 07:12
© RIPRODUZIONE RISERVATA